17 dicembre 2014

San Girolamo «Signore, ti ho dato già tutto, non mi resta davvero più niente!».


San Girolamo

«Signore, ti ho dato già tutto, non mi resta davvero più niente!». 


Ben prima di diventare un sapiente e stimato esegeta, brillante consigliere di nobildonne dell'alta società romana, Girolamo aveva tentato un periodo di vita da eremita in una grotta del deserto di Giuda.

Con la presunzione tipica dell'età, il giovane Girolamo si era dedicato con ardore alle molteplici forme di ascesi allora in uso tra i monaci. Ma i risultati si facevano attendere: il tempo gli avrebbe fatto presto capire che la sua vera vocazione era altrove nella Chiesa e che il suo soggiorno tra i monaci della Palestina ne costituiva solo il preludio.
Tuttavia Girolamo doveva ancora imparare molte cose e intanto, da giovane novizio si trovava immerso nella disperazione: nonostante i suoi sforzi generosi, non riceveva alcuna risposta dal cielo.

Andava alla deriva, senza timone, in mezzo alle tempeste interiori, al punto che le vecchie tentazioni, già così familiari, non tardarono a rialzare la cresta.
Girolamo era scoraggiato: cosa aveva fatto di male?
Dov'era la causa di questo cortocircuito tra Dio e lui?
Come ristabilire il contatto con la grazia?

Mentre Girolamo si arrovellava il cervello, notò all'improvviso un crocifisso che era comparso tra i rami secchi di un albero. Girolamo si gettò a terra e si percosse il petto con gesto solenne e vigoroso.
E' in questa posizione umile e supplicante che lo raffigura la maggior parte dei pittori.
Subito Gesù rompe il silenzio e si rivolge a Girolamo dall'alto della croce:
«Girolamo - gli dice - cos'hai da darmi? Cosa riceverò da te?».
Girolamo non esita un attimo. Certo che aveva un sacco di cose da offrire a Gesù:
«Naturalmente, Signore: i miei digiuni, la fame, la sete. Mangio solo al tramonto del sole!»
Di nuovo Gesù risponde: «Ottimo Girolamo, ti ringrazio. Lo so, hai fatto del tuo meglio. Ma hai ancora altro da darmi?»
Girolamo ripensa a cosa potrebbe ancora offrire a Gesù.
Ecco allora le veglie, la lunga recita dei salmi, lo studio assiduo giorno e notte della Bibbia, il celibato nel quale si impegnava con più o meno successo, la mancanza di comodità, la povertà, gli imprevisti che si sforzava di accogliere senza brontolare e infine il caldo di giorno e il freddo di notte.
 Ad ogni offerta, Gesù si complimenta e lo ringrazia.
Lo sapeva da tempo: Girolamo ci tiene così tanto a fare del suo meglio!
Ma ad ogni offerta, Gesù, con un sorriso astuto sulle labbra, lo incalza ancora e gli chiede: «Girolamo, hai qualcos'altro da darmi?»

Alla fine, dopo che Girolamo ha enumerato tutte le cose buone che ricorda e siccome Gesù gli pone per l'ennesima volta la stessa domanda, un po' scoraggiato e non sapendo più a che santo votarsi, finisce per balbettare: «Signore, ti ho dato già tutto, non mi resta davvero più niente!».
Allora un grande silenzio piomba nella grotta e fino alle estremità del deserto di Giuda; Gesù replica un'ultima volta: «Eppure Girolamo hai dimenticato una cosa: dammi anche i tuoi peccati affinché possa perdonarteli.».

(Vita di san Girolamo)

8 dicembre 2014

Festa di Maria, vergine e Madre di Dio, concepita senza peccato originale

Festa di Maria, vergine e Madre di Dio, concepita senza peccato originale




"Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio. 

Tu se' colei che l'umana natura
Nobilitasti sì, che il suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura. 

Nel ventre tuo si raccese l'amore
Per lo cui caldo nell'eterna pace
Così è germinato questo fiore. 

Qui se' a noi meridïana face
Di caritate; e giuso, intra i mortali,
Se' di speranza fontana vivace. 

Donna, se' tanto grande e tanto vali,
Che, qual vuol grazia e a te non ricorre,
Sua disïanza vuol volar senz'ali. 

La tua benignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al domandar precorre. 

In te misericordia, in te pietate,
In te magnificenza, in te s'aduna
Quantunque in creatura è di bontate! 



1 dicembre 2014

Grazia Ciarciaglini eletta al consiglio regionale OFS

Grazia,  eletta al consiglio regionale OFS

Abbiamo il piacere di comunicarvi, che Grazia, sorellina della nostra fraternità, è stata eletta al consiglio regionale dell'OFS.


Ieri, si è svolto il Capitolo elettivo regionale (il terzo da quando l'OFS si è unificato nelle sue famiglie abruzzesi, cioè conventuali, minori e cappuccini).
Paola Brovelli del consiglio nazionale ha presieduto il capitolo, insieme ad Alfonso Petrone, assistiti da fra Roberto Francavilla OFS cap. 

Nel pomeriggio, i ministri delle fraternità locali, con intercessione costante dello Spirito Santo perché li illuminasse, hanno votato per le cariche al servizio delle fraternità della "Provincia d'Abruzzo".
E' stata eletta anche Grazia della nostra fraternità.



Ecco il neo eletto Consiglio, che servirà le nostre fraternità:
Mariagrazia Visini (Pescara Colli) presidente; Mariachiara Raglione (Brecciarola), riconfermata vice presidente; riconfermato consigliere Pino Ginaldi (Pescara s. Antonio) ed eletti Cristina Di Pietro (Teramo), Alessandro Fusco (Brecciarola), Grazia Ciarciaglini (San Francesco Chieti) e Stefania Muci (L'Aquila Torrione). 


Auguri di cuore a Grazia.
Che lo Spirito Santo vi assista per intercessione di Maria Santissima, San Francesco e Santa Chiara.

Anche la tua fraternità ti sosterrà.

Le altre foto:
OfsAbruzzo

22 novembre 2014

Morena ha lasciato la Terra.

Morena ha lasciato la Terra.

La nostra sorellina, ha combattuto con forza contro il male della leucemia, ma non c’è l’ha fatta.
Tutti noi dell’OFS insieme ai suoi amici a don Filippo, abbiamo chiesto fino all'ultimo momento una grazia, una guarigione, certo ormai miracolosa, ma confidenti che tutto è possibile a Dio.

Questa volta ha detto di no.
E allora cosa vuol dire? Vuol dire che Dio non esiste.
NO!
Vuole dire che Dio esiste, ma non si cura dei suoi figli.
NO!
Fede e ragione devono viaggiare sempre insieme, come ci insegnava Benedetto XVI.
Se le usiamo sotto l’azione dello Spirito Santo, possiamo capire le motivazioni di Dio.

Dio ha detto di no alla guarigione, è vero, ma guardate quanto è grande la sua bontà: quanta consolazione ha donato a tutti noi che abbiamo pregato per Morena?
Quanta forza ci siamo fatti a vicenda, amandoci di più?
Quanto forte abbiamo sentito l’amore di Dio in questi giorni, nonostante quel no?

Morena era pronta per l’abbraccio con lo sposo celeste, con Gesù.
È evidente.
Molti ricevono guarigioni miracolose, ma molti muoiono, nonostante le preghiere.
Leggendo le testimonianze, ad esempio di Gloria Polo, sembra che Dio a qualcuno voglia concedere più tempo per arrivare alla cosa più importante di tutte: salvare la vera vita, salvare l’anima.
Gesù lo dice chiaramente: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? “ (Lc 9, 24-25)

Il mondo di oggi ci ha abituato a dire che quando uno muore, SICURAMENTE sta in cielo.
Spesso, alla morte anche di un personaggio pubblico, si dice: “oggi si è accesa una stella nel cielo”.
Noi cristiani sappiamo che non è sempre così.
Al momento della morte, se la persona continua a rifiutare l’Amore di Dio, e preferisce il male e l’odio, rischia l’Inferno.
Se quell'amore è imperfetto, forse andrà in Purgatorio, ma con la prospettiva del Paradiso.
Se ha amato, riceverà da subito l’abbraccio dell’amico e dello sposo: Dio come Padre Figlio e Spirito Santo.

Ebbene, non è vero che tutti vanno in Paradiso per direttissima.
Però possiamo pensare che sia così per Morena. Lei ha amato i fratelli, la sua famiglia, e soprattutto ha amato Gesù.
Dice Gesù: “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna” (Gv 3,36)
“In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.” (Gv 5,24)
Dice san Paolo: “se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.”  (Rm 10, 9-10)

Morena ha creduto nel Figlio. Ha creduto che Dio ha risuscitato Gesù, il Figlio, dai morti, e ha proclamato che Gesù è il Signore.
Nel SMS che ci ha mandato 2 giorni prima di perdere conoscenza, ce lo ha detto chiaramente:.
è Lui (Cristo) il Padrone della mia vita.

Gesù è venuto per prepararci un posto, e lo ha fatto incarnandosi sulla Terra, con la sua morte e con la sua Resurrezione. Ora ci ha ancorati al cielo e ci ha donato una vita divina.
Ed è li a chiederci:
«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». (Gv 11, 25-26)
Noi ci volgiamo unire alla risposta di Marta di Betania: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». (Gv 11, 27)

Sì, possiamo ben sperare che Morena è con Dio.
Morena fa parte adesso della Chiesa celeste e pregherà per la nostra Chiesa militante.
Morena da adesso farà il servizio più importante: l’intercessione!
con Maria madre di Dio, con san Francesco e con santa Chiara.
Pregherà Dio innanzitutto per la sua famiglia, per Michele e sui suoi 2 piccoli figli.
Poi lo pregherà per tutti i suoi famigliari, e per tutti i suoi amici e conoscenti e poi per noi fratelli e sorelle in Cristo, dell’OFS.

Morena,
oggi è ancora il tempo di piangere, perché sulla Terra ci mancherai, ma sappiamo che presto, molto presto, ci rivedremo.
Cara Morena, prega per noi.

8 novembre 2014

Lectio divina - Il libro della Genesi – Primo incontro

Il libro della Genesi – Primo incontro


L’esegesi distingue nella Genesi, e, più generalmente, nell’insieme del Pentateuco, molteplici strati, la cui redazione risalirebbe a epoche diverse e sarebbe nata in ambienti diversi:
  1. La tradizione "yavhista" sarebbe la più antica e risalirebbe all’epoca del grande re Salomone. I testi yavhisti sono preponderanti nella Genesi e ne costituiscono le parti fondamentali, come, per esempio, il secondo racconto della creazione (Gen 2,4) o le storie dei patriarchi.
  2. La tradizione "elohista" è più tardiva. Si sviluppa nel Regno del Nord, dunque dopo lo scisma del 931 a. C. Si presenta come il documento dell’alleanza fra Dio e il suo popolo. Le prime tracce elohiste appaiono nel libro della Genesi a partire dal capitolo 15 e in Giuseppe.
  3. La fonte "sacerdotale", che si svilupperà al tempo dell’esilio babilonese, fra il 586 e il 538 a. C., è infine alla base del primo racconto della creazione, quello dei "sette giorni".

Divisione:
I sezione:    L’eziologia metastorica                                         (Gn 1,1-11,26)
II sezione:   La promessa ai padri      1) Il ciclo di Abramo (Gn 11,27-25,18)
      2) Il ciclo di Giacobbe (Gn 25,19-37,1) 
3) Il ciclo di Giuseppe (37,2-50,26)


Il racconto sacerdotale della creazione (1,1-2,4a)

1In principio Dio creò il cielo e la terra.
Bere’shit  bara’‘elohim‘et hashamajim        we’et      ha’arets
In principio     creò       Dio                i cieli                   e         la terra
Bereshit in principio ci ricorda che c’è un principio nel cuore di Dio in cui decide di creare il mondo. La Torah scrive le iniziali Be con la Bet ingrandita per indicare la grandezza della parola! I rabbini affermano che Dio crea per manifestare il Suo amore.
La lettera Bet (Berakhah – Benedizione) ci dice che attraverso la benedizione si passa dalla dualità del mondo (Bet) all’unicità di Dio (Alef = prima lettera dell’alfabeto ebraico); da ciò che si muove ed è effimero si passa a ciò che è e non finisce.
La struttura letteraria di 1,1-2,4a è di tradizione sacerdotale in cui il 7 è il numero della pienezza e perfezione. Il verbo br’ «creare» ritorna 7 volte (1,1.21.27 [x3]; 2,3.4a). Questo versetto è composto di 7 parole.
‘Elohim compare in Gn 1-11 ben 35 volte (7x5)! La creazione è un’opera liturgica che culmina nel sabato.
È un inizio assoluto? Qui non si parla di creatio ex nihilo cioè creazione dal nulla perché poi al v. 2 dice che la terra è informe!       

2La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
È composto da 14 (7x2) parole! In questo versetto c’è il no di Dio al caos ma il suo spirito (ruach ‘elohim) ha presieduto a tutta la creazione. La creazione è l’atto del no di Dio al nulla.
Il verbo merachefet planare ha diversi significati tra cui covare come se la terra informe fosse come un uovo da riscaldare. Dio in Gn 1 non crea solo con la Parola ma anche con lo Spirito. Rabbi Rashi afferma che lo Spirito di Dio aleggiava, come una colomba che aleggia sopra il nido.

3-5.In Gn 1,3-31 assistiamo all’opera di Dio in sei giorni che termina col sabato.
Troviamo per la prima volta lo schema in cinque fasi che ritmerà ogni giorno dell’esamerone (6 giorni della creazione): 1) Dio comanda, 2) chiama all’essere e con la Sua Parola conferma, 3) riconosce, 4) dà il nome, 5) benedice. La parola di Dio appare potente ed efficace fino a diventare evento (dabar): è la teologia mirabilmente espressa in Is 55,10-11. 
Dio disse wajj’omer ‘elohim ricorre 10 volte (Gen 1,3.6.9.11.14.20.24.26.28.29). La tradizione rabbinica commenterà: «Il mondo è stato creato con dieci parole» (Pirqe Abot V,1). Siamo di fronte a sette giorni in cui risuonano dieci parole di Dio. C’è il richiamo alle 10 parole o comandamenti. 10 parole furono pronunciate da Dio al Sinai stipulando un’alleanza con il popolo di Israele, 10 parole sono state pronunciate durante la creazione stipulando così l’alleanza con tutta l’umanità. La creazione è dunque già evento rivelativo e salvifico. 
La luce è la prima creatura perché scandisce il tempo ovvero il giorno dalla notte.
Dio vide. Il vedere di Dio è già un giudizio e una lode: bellezza estetica e bontà etica (tob) si fondono nello sguardo amorevole di Dio. La creazione non è solo atto di potenza, di vittoria e di successo (il prevalere della luce sulle tenebre), ma anche di armonia e di bellezza, è opera artistica. L’autore utilizza 7 volte la parola tob mentre le opere sono 8.
Il primo giorno è detto in ebraico «giorno uno» (yom ‘ehad).

6-8.Siamo al secondo giorno e alla creazione del firmamento che ha la funzione di separare le acque superiori da quelle inferiori. La cosmologia immaginava il firmamento come una volta che sorreggeva le acque e poggiava su delle colonne (Gb 26,11).Diversi Padri della Chiesa e rabbini si chiedevano perché nel secondo giorno Dio non afferma la bontà (tob) dell’opera creata. Per alcuni rabbini perché l’opera non era stata completata. Questo ci insegna che se una persona inizia a fare qualcosa di buono, deve impegnarsi a condurla a termine.

9-13. Il terzo giorno contiene due opere: la separazione della terra asciutta dalle acque e la produzione dei vegetali. Il mare nel mondo semitico era divinizzato ed elevato a rango di Potenza, è restituito al suo status di creatura, è limitato nella sua forza straripante, sottomosso al potere di Dio che è signore delle acque (cfr. Gen 31,35; Is 51,15). 

14-19. Il quarto giorno è strettamente collegato con il primo e il settimo giorno. È interessante che l’autore sacro in poche righe demitizza gli astri, il sole e la luna (che non nomina) quando per le culture vicine sono dei da adorare.
Il verbo separare (badal) è tipico del documento e della teologia sacerdotale dove indica la separazione di Israele dalle genti (Lv 20,24.26), dei leviti in mezzo ad Israele (Lv 11,47), del sacro dal profano (Lv 10,10), del Santo dal Santo dei Santi (Es 26,33)… Una separazione finalizzata alla santità e alla comunione piena col Signore (Nm 8,14). 

15-23. Nel quinto giorno abbiamo la novità della benedizione degli animali. Essi hanno un posto particolare all’interno del creato.

24-31. Come nel terzo giorno Dio aveva compiuto due opere, così nel sesto che, secondo la divisione dell’esamerone in immobili e mobili, gli corrisponde, avvengono due opere: la creazione degli animali terrestri (vv.24-25) e la creazione dell’uomo (vv.26-31).
- vv. 24-25. La creazione secondo il documento sacerdotale è ordinata e classificata: prima il bestiame domestico, poi i rettili e infine gli animali selvatici. È interessante osservare che Dio crea sia gli animali puri che impuri. Non fa una distinzione che avverrà in Levitico.
- vv. 26-31. C’è un legame profondo tra gli animali terrestri e l’uomo, visto che tutte e due sono creati il sesto giorno!
Facciamo … nostra … nostra…: questi plurali hanno imbarazzato l’esegesi rabbinica. Non può essere un plurale di maestà perché non conosciuto dall’ebraico, forse un residuo della mentalità politeista oppure Dio parla agli angeli (secondo i rabbini)? La tradizione cristiana dei primi secoli vi hanno visto un dialogo tra Dio e il Figlio e vi ha visto una teologia trinitaria. Ma un ultima interpretazione è che Dio parla con l’uomo: è come se Dio si consigliasse con l’uomo perché l’uomo è un essere in divenire!
Meglio tradurre umanità che uomo perché Adam è un nome collettivo e non proprio!
… a nostra immagine, come nostra somiglianza: l’uomo è l’unico essere fatto a immagine e somiglianza di Dio! Creando l’uomo simile a sé ha voluto un essere a cui si potesse rivolgere con il “tu”!  Tutta la Bibbia racconta questa storia tra la libertà dell’uomo e quella di Dio che è storia di salvezza! Quindi la relazione con Dio non è un valore aggiunto ma è costitutivo del suo esserci e perciò del suo essere.
… domini…: all’uomo è concesso il dominio sulle creature ma non si tratta di uno spadroneggiare o di un abusare. Possiamo affermare che Dio è nel mondo là dove c’è l’uomo! I verbi ebraici per indicare “dominare” sono utilizzati nella Bibbia in riferimento al re (cfr. Nm 24,19; 1Re 5,4; Sal 72,8 ecc.). L’uomo è re per tutto il creato.
… creò … creò … creò …: la triplice ripetizione del verbo barà sta a significare che la creazione è arrivata al suo apice anche se la pienezza è al settimo giorno.
… maschio e femmina…: In questo versetto c’è la valorizzazione immensa del rapporto uomo e donna e della sua completezza; l’unità tra i due non si trova tra loro ma in Dio! La sessualità non è idolatrata ma neanche l’opposto cioè la fobia di essa. La coppia umana è veramente feconda se acconsente a vivere la reciproca differenza e alterità. Questo è il senso della successione dei vv.26-28: differenza sessuale – benedizione – fecondità. 
 Solo dell’uomo dice che “era cosa molto buona” e si chiude il sesto giorno!     

2,1-4a.Dio benedice la terza volta, dopo gli animali e l’uomo ora anche il sabato! Il verbo kalah (= finire, terminare, portare a compimento) insinua anche che nel sabato sta inscritta la finitezza del creato: il mondo ha una fine, la creazione ha un limite.
Il verbo shabat qui impiegato non significa “riposare” ma “arrestarsi”, “astenersi”: creare significa anche cessare di creare. Il sabato è il tempo per rimettere gratuitamente in circolazione, a favore degli altri, quanto si è ricevuto dalla gratuità di Dio.
Sospendendo il tempo come tempo della produzione (per lavorare) e della fruizione (per soddisfare i bisogni), il sabato lo reinstaura come tempo dell’accoglienza, dell’ospitalità, della fraternità, della solidarietà e del perdono: come tempo delle “opere di misericordia” attraverso le quali nel mondo entra l’amore di Dio e si realizza il suo regno. (C. Di Sante)
La settimana creazionale esprime i due movimenti tipici del documento sacerdotale: movimento di espansione (Dio benedice) e movimento di separazione (Dio santifica o consacra). Nel culto la temporalità dell’uomo si dilata su Dio. Il sabato è «lo spirito sotto forma di tempo» (A.J. Heschel). L’uomo non scopre il senso del suo essere-tempo nell’attivismo; l’homo faber redime il limite della temporalità, partecipando al riposo di Dio con la sua dimensione di homo religiosus. Il senso della temporalità umana è la comunione con Dio, è il “settimo giorno di Dio”. La storia va verso Dio. Il settimo giorno, con la festa del sabato Dio si riposa. La creazione secondo il documento sacerdotale è un’opera liturgica (ebdomadaria cioè di sette giorni!) che culmina col giorno del Signore per eccellenza.


La creazione secondo la fonte jahvista(Gen 2,4b-24)

Gen 1 è teocentrico invece Gen 2 è antropocentrico.
a) La creazione dell’uomo
4b-7. Nei primi versetti c’è il racconto della creazione in poche righe, passando subito all’uomo! Perché secondo il documento jahwista l’uomo è il compimento della creazione.
Dio plasma (yṣr) l’uomo come un vasaio lavora l’argilla (vedi anche Gb 4,19; 10,9; Sal 119,73; Is 29,16). L’uomo è posto in stretto rapporto con la terra: egli è ‘adam perché tratto dalla ‘adamah, è cioè il terrestre, perché tratto dalla terra, quindi fragile. La vita dipende dal soffio di Dio e se Dio lo ritira, l’uomo torna alla polvere.

b) Il giardino e il comando (Gen 2,8,17)
8-17.Con un’immagine antropomorfica Dio pone l’uomoin un giardino che egli stesso ha piantato.Il giardino ha come prima funzione di essere “il luogo dei due alberi”, l’albero della vita e quello del bene e del male. Il simbolo dell’albero è tipico della tradizione sapienziale (Sir 24; Ez 17; 31; 47,12). La conoscenza del bene e del male è tipico sapienziale (cfr.Sir 39,4).
La tradizione rabbinica e patristica ha identificato così i quattro fiumi: Pichon (Gange), Ghicon (Nilo), Chiddeqel (Tigri) e Perat (Eufrate). Corrisponde per un ebreo ai 4 punti cardinali!
Nel v. 15 è sottolineato la seconda funzione del giardino cioè “luogo del lavoro dell’uomo”. Nella creazione dopo il rapporto con Dio, l’uomo ha il rapporto col mondo e col lavoro. C’è una demitizzazione del lavoro che porta alla responsabilizzazione dell’uomo stesso.    
La terza funzione del giardino è quello di essere “luogo in cui si vive la risposta al comandamento” (cfr. vv. 16-17). In questi due versetti è presente la dialettica dell’Alleanza cioè al dono del giardino, l’uomo è chiamato a rispondere rispettando il comandamento. Il divieto è misura di protezione per l’uomo da se stesso e per la creazione dall’uomo.  
18-25.Dio rivela uno stato di negatività nello stare da solo dell’uomo. L’uomo diventa uomo, si umanizza nella misura in cui conosce e vive l’alterità, la dualità.
Si pone il problema della traduzione di cezer kenegdo, letteralmente: “aiuto come davanti a lui”. I LXX tradussero in Gen 2,18: “aiuto di fronte a lui” e in Gen 2,20: “aiuto simile a lui”. C’è un’altra traduzione possibile nella tradizione ebraica: “aiuto contro di lui”. Dice Gen. Rabbah: “se l’uomo lo merita essa è un aiuto, se no essa è contro di lui”. Rashi così commenta: “Se l’uomo ne sarà degno, la donna sarà per lui un aiuto; se non ne sarà degno, ella sarà contro di lui per combatterlo”.L’uomo non trova alcun corrispondente, alcun partner adeguato, non trova un “aiuto per lui contro di lui”. Ha bisogno dell’alterità. A questo punto Dio separa per unire, separa in vista di una comunione e crea la donna dal lato (tselac) dell’uomo (Gen 2,22). La donna è tratta dall’uomo, uguale a lui: è la ‘ishshah tratta dall’’ish.
Dio crea la donna facendo scendere un torpore (tardēmȃ) che ricorda il sonno di Abramo (Gen 15,12), di Elifaz (Gb 4,13), di Saul (1 Sam 26,12) o di Gerusalemme (Is 29,10): è il sonno che vieta all’uomo di vedere in azione il Creatore.
L’uomo parla per la prima volta quando ha davanti a sé l’altro. Il grido di esultanza è scandito, in ebraico, da tre “questa…”, un pronome molto più forte che le nostre lingue, e comprende: 1) la formula di parentale («osso dalle mie ossa…»: cfr. Gn 29,14; Gdc 9,2s; 2Sam 5,1; 19,13s); 2) il nome: l’omofoni tra ‘ishshah e’ish esprime la pari dignità di uomo e donna.
Col v. 24 cambia attore, c’è un narratore che racconta! I due verbi utilizzati, abbandonare (‘zb) e unirsi (dbq bc) indica il movimento dell’uomo adulto che si distacca dalla sua famiglia per formare una nuova coppia. Questo versetto afferma che il legame fra marito e moglie è più forte del rapporto tra genitori e figlio. La capacità di sposarsi sta in questo saper abbandonare! L’uomo ha il diritto-dovere di lasciare la propria madre, perché la donna è uscita dall’uomo come l’uomo è uscito dalla propria madre.

Il v. 25 parla della nudità e come non provavano vergogna. Nella Bibbia essere vestiti o scoprirsi nudi vuol dire fare i conti con la propria vulnerabilità, con la debolezza, con situazioni di creature limitate e deboli (cfr. Gb 1,21). Essere vestiti era simbolo di dignità umana e sociale, di potere “regale” da esercitare, di riconoscimento di un posto da ricoprire. Che non si vergognano vuol dire che accettano la loro creaturalità e la loro debolezza.

fra Fabrizio De Lellis

3 novembre 2014

Giornata di fraternità a Capestrano

Fraternità a Capestrano, 2 novembre 2014

Grazie alla fraternità di Capestrano per l'accoglienza, il pranzo e la preghiera.
Biblioteca di Capestrano
















Un grazie speciale a Palma che è stata con noi tutta la giornata, e ci accompagnato nel ripercorrere la cultura del territorio di Capestrano, e sopratutto i passi di S. Giovanni da Capestrano (clicca qui per notizie sul santo).


Davvero interessante e ricca la biblioteca del convento.
Toccante vedere la Bibbia, con gli appunti di s. Giovanni!
libro antico
Salterio del XVI secolo

Ci ha accompagnato anche una giornata di sole splendida!
Capestrano
Castello Piccolomini - Capestrano


Lode, Gloria e potenza al nostro Signore, Gesù Cristo!

21 ottobre 2014

20 ottobre 2014

Spirito Anima e Corpo

Spirito Anima e Corpo


"Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione; e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo." s. Paolo, 1Ts 5,23


FONTE

Alcuni mi chiedono perché San Paolo parla nelle sue lettere di anima e spirito, come se si trattasse di due componenti diverse dell'uomo. In realtà, non solo Paolo, ma anche altre parti della Scrittura parlano di anima e spirito come concetti completamente diversi, senza confondere però lo spirito con lo Spirito Santo (che è la Terza Persona del Dio Trino). Questa differenza era nota alla teologia e alla tradizione ebraica ed è stata trasmessa, naturalmente, a quella cristiana attraverso gli apostoli.

Nel corso dei secoli, per il pensiero comune, anima e spirito sono divenuti termini sinonimi, ma nella Bibbia non è così. Generalmente si ritiene che l'anima (o lo spirito) è quella parte dell'uomo che è immortale, che sopravvive al decesso fisico. Questa idea è stata supportata a livello filosofico per screditare la concezione cristiana dell'immortalità, in realtà vedremo che il linguaggio della Scrittura ci testimonia tre realtà diverse parlando di corpo, anima e spirito. Ci serviremo per capire meglio di tre versetti biblici: Genesi 2,7; Luca 1,46-47; Ebrei 4,12.

In ebraico, anima si dice nefesh (נפש) e spirito si dice ruach (רוח).
In greco, anima si dice psyché (ψυχή) e spirito si dice pnèuma (πνεύμα).



  • Genesi 2,7 - "...allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente".
Quando Dio crea Adamo, pone in lui qualcosa che le altre creature non hanno. Solo dell'uomo infatti è scritto che Dio soffiò un alito di vita, mentre degli altri animali, che pure sono esseri viventi, è scritto semplicemente che furono creati. L'uomo ha una predilezione dal Signore, poiché è fatto ad immagine del Figlio. 

Il testo dei Settanta rende meglio il concetto. L'alito di vita che Dio soffia nell'uomo non è l'anima, ma lo spirito, perché è scritto che l'uomo divenne un essere vivente, ma più correttamente è scritto che divenne un'anima vivente. Quel soffio di vita è ciò che rende l'anima dell'uomo vivente, ma non vivente nel senso biologico, bensì nel senso di immortale. Non a caso ruach (in ebraico) e pnèuma (in greco), le parole per indicare lo spirito, sono anche sinonimi di soffio, vento. Dio aveva creato l'uomo già con corpo ed anima, ma è lo spirito che lo rende vivente. In particolar modo, rende l'anima vivente. 

Cosa è allora l'anima, secondo la Bibbia (e anche secondo il Magistero della Chiesa)? E' la mente dell'uomo, ma non solo, è ciò che rende gli esseri appunto "animati". Anche gli animali in questo senso hanno l'anima: da qui la parolaanima-li. Ma solo l'uomo ha lo spirito, solo l'uomo è reso vivente, cioé immortale. "Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi" (Matteo 22,32).

  • Luca 1, 46-47 - "Allora Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore".
All'inizio del Magnificat, Maria pone una differenza tra anima e spirito. E' scritto che l'anima magnifica il Signore, mentre lo spirito esulta in Lui. Sono due azioni differenti nella loro natura. 

Magnificare significa lodare, è quindi un atto razionale (mente), mentre esultare significa gioire, è quindi un attoemotivo (spirito). Maria ci insegna che Dio va adorato in entrambi i modi, confermando quanto indicato nel Decalogo: "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Deuteronomio 6,5). Qui lo spirito, la componente emotiva ed immortale dell'uomo, è indicato con la parola simbolica cuore, ma è appunto differenziato dall'anima. 

  • Ebrei 4,12 - "Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore".
La differenza tra anima e spirito è resa ancor più evidente in questo versetto. L'autore della lettera agli ebrei scrive addirittura che anima e spirito sono separati in un punto. Effettivamente è così: la psiche (anima, o mente) ha sede nel cervello, ha quindi una sede fisica, è responsabile della componente umana razionale, ma c'è un punto di divisione, scientificamente insondabile, fisicamente non percepibile, che separa ed allo stesso tempo unisce l'anima allo spirito, che rappresenta la parte più emotiva ed "irrazionale" di noi. 

  • Amore logico, amore illogico
Nel Dio trino non c'è una "anima santa", ma lo Spirito Santo, che unisce in relazione di amore il Padre e il Figlio ed unisce Dio allo spirito dell'uomo. Effettivamente Dio è Amore (1Gv 4,8). Dobbiamo dunque imparare da Dio, "che è mite ed umile di cuore", cioé di spirito, imparare ad avere più relazioni di spirito (emozionali, di cuore), piuttosto che di anima (razionali, di testa). Dopotutto, che cosa è necessario per essere santi, per amare i nemici e i propri persecutori, se non un amore folle, esagerato, ma non illogico, lo stesso che Gesù Cristo manifestò sulla Croce perdonando i Suoi carnefici? 

Ribadisco: l'amore non deve essere illogico, quando cioé scade nel buonismo, secondo cui tutto è buono e tutto è concesso. L'anima, la mente, la psyché deve essere la sentinella del nostro cuore. La Carità deve avere fondamenta sull'umiltà, ma avere come appoggio lo zelo. La prima cosa da amare è la Verità. Chi ama la Verità ama Dio. Chi ama la Verità senza scendere a compromessi, è veramente libero.

Vostro,
il Cavaliere dell'Immacolata


27 settembre 2014

Invito alla festa di s. Francesco



L’ Ordine Francescano Secolare

TI INVITA

 a celebrare la festa di s. Francesco di Assisi, nella parrocchia della s.s. Trinità dei Pellegrini, Chieti

SABATO 4 OTTOBRE,   con la s. Messa delle 19:15
 

In questa occasione raccoglieremo degli articoli di cancelleria (quaderni, penne, matite, astucci, colori, ecc…) per i bambini della missione dei frati ofm conv, in Burkina Faso.
Si potrà portare il materiale anche successivamente; il container partirà a fine novembre.



 

Il Signore ti dia Pace,

l’ O.F.S.  di san Francesco al corso, CHIETI  ofschieti@gmail.com

14 settembre 2014

l'Essenziale


L'Essenziale 


Mentre il mondo cade a pezzi, io compongo nuovi spazi e desideri che appartengono anche a Te. Mi allontano dagli eccessi e dalle cattive abitudini. Tornerò all'origine, torno a Te, che sei per me, l'essenziale 

Mi piace pensare che l'oggetto di questa bella canzone di Marco Mengoni,
sia Cristo Gesù



Sostengono gli eroi 
"Se il gioco si fa duro, è da giocare!" 
Beati loro poi 
se scambiano le offese con il bene 
Succede anche a noi 
di far la guerra e ambire poi alla pace 
e nel silenzio mio 
annullo ogni tuo singolo dolore 
per apprezzare quello che 
non ho saputo scegliere 

Mentre il mondo cade a pezzi 
io compongo nuovi spazi e desideri che 
appartengono anche a te 
che da sempre sei per me 
l'essenziale 

Non accetteró 
un altro errore di valutazione, 
l'amore è in grado di 
celarsi dietro amabili parole 
che ho pronunciato prima che 
fossero vuote e stupide 

Mentre il mondo cade a pezzi 
io compongo nuovi spazi e desideri che 
appartengono anche a te 
Mentre il mondo cade a pezzi 
mi allontano dagli eccessi 
e dalle cattive abitudini 
torneró all'origine 
torno a te che sei per me 
l'essenziale 

L'amore non segue le logiche 
Ti toglie il respiro e la sete 

Mentre il mondo cade a pezzi 
io compongo nuovi spazi e desideri che 
appartengono anche a te 
Mentre il mondo cade a pezzi 
mi allontano dagli eccessi 
e dalle cattive abitudini 
torneró all'origine 
torno a te che sei per me 
l'essenziale


2 giugno 2014

Per la riapertura della chiesa

Siamo un gruppo di fedeli laici francescani legato al convento di s. Francesco al corso,
una delle chiese più antiche e belle della città (XII sec.). Ogni sua roccia trasuda storia e spiritualità.
L'intera chiesa è decorata da stucchi e pitture, a tela e su muro. Di notevole importanza è soprattutto il patrimonio pittorico conservato nelle singole cappelle. Qui hanno avuto origine diverse vocazioni religiose, e i teatini hanno sempre beneficiato spiritualmente da questo centro.

Le date  importanti per la Chiesa di S.Francesco:
-1239 : nuova edificazione ,sul sito dell’antica Chiesa di S.Lorenzo;
-1576 : restauri della Chiesa e ampliamento del Convento dei Francescani;
-1620: costruzione del refettorio e  consolidamento del Convento;
-1650: ristrutturazioni e decorazioni delle dieci cappelle della Chiesa;
-1689: ristrutturazione totale della Chiesa,con sostanziali modifiche della pianta (che assume la forma di “croce greca”) della zona absidale e delle volte delle navate;

-1703: dopo il tremendo terremoto del 14 Gennaio 1703, lavori di consolidamento delle strutture della cupola;
-1706: decorazioni e opere d’arte (pala d’altare) e statue lignee  (S.Antonio di Giacomo Colombo);
-1767: opere di decoro e installazione del coro ligneo (del teatino Felice D’Attilio);
-1809: soppressione degli ordini monastici (Leggi Napoleoniche), che riguarda anche  S.Francesco di Chieti;
-1819:il governo Borbonico reintegra il Convento;
-1876: il Governo Italiano sopprime di nuovo il Convento e incamera i Beni ecclesiastici nel Demanio;
- 2009, 6 aprile, chiusura dopo terremoto dell’Aquila








1 giugno 2014

CHIESA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI - CHIETI



CHIESA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI - CHIETI

VICENDE STORICHE



Originariamente dedicata a San Lorenzo Martire, San Francesco è una delle chiese più antiche di Chieti; considerata la posizione preminente, in asse con la torre campanaria della cattedrale, perfettamente orientata, è da ritenersi che essa risalga ai primi secoli del cristianesimo.

Sinibaldo Baroncini, archeologo teatino del seicento, narra di una grande pietra squadrata rinvenuta ai suoi tempi presso la facciata e con una iscrizione monca, GENIO MUNICIPII, che ci fa supporre esistesse in epoca romana un edificio sacro o civile nell'area della chiesa. E' certo, comunque, a quanto dice P. Isidoro Sebastiani, che la chiesetta di San Lorenzo passò ai frati minori vivente ancora San Francesco; ben presto ivi sorse annesso un convento destinato a divenire preminente su tutte le chiese francescane della custodia teatina.

Il maggiore storico chietino, Girolamo Nicolino, nella " Historia della città di Chieti ", dà per certo il 1239 quale anno di fondazione della chiesa, ricavandola da una tabella di Messe celebrate dai PP. Conventuali di Chieti; egli ricorda, inoltre, un tale Antonio Gizio, nobile teatino che, dopo aver donato una parte dei suoi beni ai poveri, ne impiegò il resto per l'edificazione della chiesa, nella quale visse e morì santamente secondo la regola serafica.

Grazie al lascito del Gizio, la chiesa assunse allora le vaste dimensioni attuali che la posero in primo piano fra gli edifici sacri cittadini, secondo solo alla cattedrale. Ancor più crebbe d'importanza quando, nei primi decenni del 1300, ricevette un'ampia facciata in laterizio di cui rimane la parte superiore, a coronamento quadrato, con un ricco rosone in pietra, anch'esso scampato ai restauri seicenteschi; è andato perduto, invece, il gran portico esistente fino a tutto il 1500.

Queste prime e fondamentali strutture architettoniche furono realizzate con ogni probabilità nel tempo in cui vissero tanti famosi frati chietini; primi fra tutti i PP. Giacomo, Giovanni e Matteo ricordati con gratitudine da Padre Cantèra che restaurò il refettorio nel 1620. Nel XIV secolo, dunque, la chiesa raggiunse le ragguardevoli dimensioni che tutt'oggi rispetta: una grande aula molto allungata e voltata a capriata, con abside rettangolare voltata a crociera, giusta la tipica pianta delle chiese monastiche abruzzesi degli ordini mendicanti.

Di eccezionale c'era già la presenza di ben dieci cappelle, cinque per lato; la parte esterna, intanto, tutta in laterizio, riceveva un cornicione ad archetti pensili giunto in massima parte fino ai giorni nostri. L'ampia facciata, infatti, quadrangolare come la maggior parte delle costruzioni sacre coeve in Abruzzo, presenta tuttora uncoronamento ad archetto che si sviluppa anche lungo tutto il fianco destro.

La loro delicata fattura lo avvicina ai coronamenti dei piani più antichi del campanile di San Giustino portati a termine nel 1335 da tale Bartolomeo di Giacomo. All'incirca in quegli anni veniva innalzata in Chieti la chiesa di Sant'Agostino con una decorazione simile. Della stessa epoca è il ricco e originale rosone con i raggi tutti diversi fra loro e tanto vicini per gusto e invenzione agli intagli che ornano le bifore del campanile della cattedrale.

Già verso la fine del XVI secolo, però, tanto il convento quanto la chiesa versavano in condizioni precarie, e infatti i frati fecero ricorso alla municipalità per richiesta di fondi necessari ai lavori di ristrutturazione. L'aiuto non si fece attendere e il Parlamento teatino, nella seduta del 19 febbraio 1576, elargì la somma di 200 ducati per la chiesa di San Francesco.

I lavori si protrassero per lustri, tanto che il refettorio fu completato dal P. Vincenzo Campèra nel 1620, come abbiamo accennato sopra, e il convento fu restaurato in tutte le sue parti nel 1671 ad opera di P. Francesco Tomei da Chieti. Profondo studioso di teologia, infaticabile predicatore, il Tomei fu anche zelante amministratore, ricoprendo la carica di ministro provinciale dal 1657 al 1661, governando con prudenza e saggezza, né disprezzando la poesia. Lo ricordano, infatti, con stima i più illustri letterati cittadini: Giuseppe Toppi, in un sonetto della raccolta " De' furti virtuosi al tempo " pubblicato nel 1683, lo definisce " amplificatore commendabile del convento di Chieti "; Federico Valignani, poi, il celebre fondatore della colonia arcadica teatina, gli dedica il sonetto XIV delle sue " Centurie ".

Insieme al convento è lecito credere si lavorasse anche alla chiesa, la quale fino al 1650 era ancora coperta a capriate, ma con le cappelle quasi tutte decorate, come risulta da una relazione richiesta dal Vaticano sullo stato delle case francescane e carmelitane.

A quel tempo, perciò, San Francesco aveva ormai perso quasi completamente i caratteri del vetusto tempio gotico e si avviava ad essere quel grandioso monumento barocco che oggi ammiriamo. Qualche tempo dopo la conclusione dei lavori per il convento, e precisamente nel 1689, fu portato a termine il rafforzamento della parte absidale con poderose strutture murarie indispensabili a sostenere l'erigenda cupola.

Fino al 1703, tuttavia, questa non era ancora elevata, come ben si rileva dalla famosa pianta prospettica della città disegnata da G. B. Pacicelli appunto in quell'anno. Non troppo lontano dl 1703 dovette essere realizzato il rivestimento in pietra dell'ordine inferiore della facciata, tanto simile per disegno e stile a quello della demolita San Domenico rifatta barocca in quegli anni e probabilmente dalle stesse maestranze.

Completate le strutture architettoniche, si provvide alla decorazione interna e si arricchì il tempio di nuove pitture e pregevoli opere scultoree, quali la tela della Madonna degli Angeli e le statue lignee di Sant'Antonio e di San Lorenzo . Dopo aver provveduto, infine, alla decorazione plastica di tutto il presbiterio per mano di stuccatori lombardi e all'innalzamento del maestoso altare marmoreo, i frate commisero all'intagliatore Felice D'Attilio un nuovo coro ligneo e un pulpito.

Nel 1767 i PP. Annecchini e Onofri del convento teatino stipularono un contratto di massima con il D'Attilio il quale si mise all'opera, dovendo riconsegnare il tutto entro lo stesso anno. Mentre i lavori procedevano alacremente, il D'Attilio, pressato da necessità domestiche, ma soprattutto infastidito dalle continue richieste di cambiamenti e arricchimenti da parte dei frati, chiese di essere parzialmente saldato. Promesse di compensi fioccarono, ma non seguì mai nulla di concreto. Stanco di aspettare e irritato, l'intagliatore interruppe l'opera e ricorse alla legge. Com'era da aspettarsi ottenne giustizia: il convento, infatti, fu condannato a versare una somma superiore alla pattuita e più equa per il lavoro realizzato, mentre il D'Attilio si obbligò a finire il coro rispettando il disegno primitivo e a riconsegnare l'opera entro il 1770. Non si parlò più del pulpito.

Il 6 febbraio del 1771, finalmente, la chiesa ebbe il suo coro, ma era scritto che, nato male, esso dovesse finir peggio. Nel maggio del 1932, infatti, un furioso incendio devastò tutto il presbiterio, distruggendo il coro, un prezioso organo settecentesco e numerose suppellettili sacre.

San Francesco, comunque, aveva da tempo perso molto del suo splendore a causa della soppressione degli ordini religiosi decretata una prima volta nel 1806 e nuovamente nel 1866, quando, privata del convento, passato al demanio, fu officiata dapprima da un solo religioso conventuale e infine passò alle cure della Congregazione dell'Immacolata Concezione. Finché, verso la fine del 1800, ebbe un parziale restauro a spese della nobildonna Teresa de Horatiis e soltanto nel 1903 poté riaccogliere un manipolo di francescani conventuali i quali furono costretti ad adattarsi in stanzette anguste e per niente idonee alla vita monastica.




VISITA ALLA CHIESA

Facciata Esterna


Al sommo di una scenografica scalinata a doppia rampa, disegnato da Tommaso Scaraviglia alla fine del 1800, in seguito allo sbassamento del piano stradale del corso Marrucino, si erge una larga facciata rivestita in forme barocche nell'ordine inferiore e in laterizio in quello superiore.

Due nicchioni con statue provenienti dalla demolita San Domenico affiancano un elegante portale in pietra con ante riccamente intagliate.

Il rosone del XIV secolo è un originale esempio di arte tardo-gotica.

L'Interno


La prima cappella, partendo da sinistra, lascia intravedere sotto l'esuberante decorazione plastica l'originaria struttura gotica. Ai lati dell'altare Sant'Ambrogio e San Carlo Borromeo , santi patroni della nazione lombarda, di cui una fiorente colonia visse e prosperò in Chieti fino al XVIII secolo. I teleri delle pareti con storia della vita dei santi ricordati rimontano alla seconda metà del seicento e rivelano una ingenua vena narrativa. Sull'altare il busto ligneo di Sant'Antonio da Padova, firmato e datato " G. Colombo 1711 ", ennesima conferma delle magistrali capacità artistiche di questo scultore napoletano dalla vena spigliata e aggraziata a un tempo. La fastosa stuccatura ricorda la scuola lombarda attiva in Abruzzo per ben due secoli.
La cappella successiva, dedicata a Santa Caterina da Bologna, è decorata con preziosi stucchi eseguiti dall'architetto scultore G. B. Gianni verso la fine della sua parabola artistica, influenzata dal gusto rococò. Sull'altare e alle pareti tele del bolognese Ercole Graziani, dipinte nel 1714 su committenza della famiglia Gozzi di origine emiliana, ma stabilitasi a Chieti intorno al seicento per esercitarvi attività bancarie.
La seguente, con scadenti stucchi della bottega del Clerici, è degna di interesse per il gran quadro dell'Immacolata Concezione dallo stile inconfondibile di Donato Teodoro.
Nella successiva cappella, un tempo consacrata a Sant'Antonio, si ammira una bella statua lignea di San Lorenzo la cui forte doratura moderna non riesce a spegnere l'eleganza delle forme e la delicatezza dei tratti, caratteristiche proprie di Giacomo Colombo, autore operoso in Abruzzo nel primo decennio del 1700. Alle pareti due tele con episodi della vita del santo da Padova eseguite nella prima metà del seicento nella bottega di G. B. Spinelli, maestro della scuola napoletana.
L'ultima cappella di questo lato, oggi di patronato della famiglia Obletter, apparteneva in antico alla potente colonia veneta di Chieti. Decorata con stucchi di gusto tardo-manieristico, vanta il più bel quadro della chiesa e indubbiamente il più importante esempio di pittura barocca della nostra città. La tela raffigura laVergine e il Bambino coronata da angeli . Ai piedi del trono sono raccolti in meditazione San Giovannino, San Luca intento a ritrarre la Madonna, Sant'Alessandro e San Marco .
Fortissimi echi di altre opere acclarate dello Spinelli e la presenza di Sant'Alessandro patrono di Bergamo confermano la tradizionale attribuzione spinelliana. E' noto, infatti, che il pittore, giunto con la famiglia da Bergamo alla fine del '500, visse a lungo a Chieti dove ha lasciato altri importanti testimonianze della sua arte.
Il transetto, ampio e luminoso, nobilitato dalla grande cupola, è impreziosito da scenografici altari e stucchi di fine fattura per stile vicini a quelli che G. G. Rizza, architetto e scultore comasco formatosi alla bottega del Gianni, ha realizzato in altre chiese cittadine. Sugli altari, statue lignee dorate raffiguranti San Francesco e Sant'Antonio , opere del tardo cinquecento napoletano. Notevoli per drammaticità espressiva i pannelli in stucco ad altorilievo con episodi della vita dei due santi.
Infine l'altare maggiore lastronato di marmi pregiati, imponente nelle sue forme architettoniche, capolavoro di lapidici napoletani.
Continuando la visita, s'incontra la cappella di San Ludovico da Tolosa , con delicati stucchi del Clerici e una modesta tela di Donato Teodoro. Quindi viene la cappella di San Giuseppe , appartenuta un tempo all'antica famiglia chietina del Nicolino. Un'antica tradizione sostiene che vi sia sepolto lo storico Girolamo.
Le tele delle pareti laterali raffiguranti la Natività Adorazione dei Pastori , rimontano alla prima metà del XVII secolo, epoca in cui fu realizzata la sontuosa decorazione plastica.
Segue la cappella della Madonna degli Angeli , dotata di privilegi da Papa Gregorio XIII Boncompagni e successivamente confermati da Benedetto XIV nel 1751. Intorno a questi anni fu dipinta la tela dell'altare con la Vergine, il Bambino e i Santi Giovanni Battista ed Evangelista . La delicata omogeneità cromatica, la correttezza del disegno e la morbidezza dei toni ricordano la maniera di Paolo de Matteis o, più probabilmente, di Nicola Maria Rossi, artista a lui vicino.
Superata la cappella del Suffragio , snaturata dai "restauri" operati negli anni cinquanta del nostro secolo, si giunge a quella di San Michele Arcangelo della famiglia de Laurentiis; la pala sull'altare è una fiacca interpretazione del celebrato quadro del Reni. Oltre a queste ricordate, altre opere d'arte meritevoli di attenzione vanta quest'antica chiesa francescana: un breve accenno, per esempio, è doveroso per gli eleganti torcieri posti ai lati dell'altare maggiore e per l'architettonico armadio cinquecentesco conservato in sagrestia.
Una nota particolare richiede, invece, la famosa Madonna ligneadel 1400 che il recente restauro ha riportato ad una lettura chiarissima, sottolineandone i rigidi caratteri ieratici e il fresco tono popolaresco propri di certa statuaria abruzzese quattrocentesca.
Per ultimo ricordiamo l'imponente pulpito realizzato da Modesto Salvini da Orsogna verso la fine del 1700. La macchina dalle forme bombate e gonfie, sebbene leggiadra come un turibolo, dovettero soddisfare straordinariamente i committenti e il gusto de tempo, tanto che venne ripetuta, con lievi modifiche, in molte chiese della terra teatina (vedi i Crociferi a Chieti, San Francesco a Bucchianico, la parrocchiale di Pennapiedimonte).