13 dicembre 2017

LE CINQUE INSIDIE PER LA CHIESA DI OGGI

LE CINQUE INSIDIE PER LA CHIESA DI OGGI



del cardinale Carlo Caffarra (+2017)


 L' alternativa ad una Chiesa senza dottrina non è una Chiesa pastorale, ma una Chiesa dell’arbitrio e schiava dello spirito del tempo: "praxis sine theoria coecus in via", dicevano i medioevali.
 Questa insidia è grave, e se non vinta causa gravi danni alla Chiesa. 
Per almeno due ragioni.
La prima è che, essendo la "Sacra Doctrina" niente altro che la divina Rivelazione del progetto divino sull’uomo, se la missione della Chiesa non si radica in essa, che cosa la Chiesa dice all’uomo?
La seconda ragione è che quando la Chiesa non si guarda da questa insidia, rischia di respirare il dogma centrale del relativismo: in ordine al culto che dobbiamo a Dio e alla cura che dobbiamo all’uomo, è indifferente ciò che penso di Dio e dell’uomo.  La "quaestio de veritate" diventa una questione secondaria.




La seconda insidia è dimenticare che la chiave interpretativa della realtà tutta ed in particolare della storia umana non è dentro la storia stessa. È la fede. San Massimo il Confessore ritiene che il vero discepolo di Gesù pensa ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo e Gesù Cristo per mezzo di ogni cosa. Faccio un esempio molto attuale. La nobilitazione dell’omosessualità, alla quale assistiamo in Occidente, non va interpretata e giudicata prendendo come criterio il mainstream delle nostre società; oppure il valore morale del rispetto che si deve ad ogni persona, il che è "metabasis eis allo genos", cioè passaggio a un altro genere, direbbero i logici. Il criterio è la "Sacra Doctrina" circa la sessualità, il matrimonio, il dimorfismo sessuale. La lettura dei segni dei tempi è un atto teologale e teologico.

La terza insidia è il primato della prassi. Intendo il primato fondativo.
Il fondamento della salvezza dell’uomo è la fede dell’uomo, non il suo agire.
Ciò che deve preoccupare la Chiesa non è "in primis" la cooperazione col mondo in grandi processi operativi, per raggiungere obiettivi comuni.
L’insonne preoccupazione della Chiesa è che il mondo creda in Colui che il Padre ha mandato per salvare il mondo.
Il primato della prassi conduce a quella che un grande pensatore del secolo scorso chiamava la dislocazione delle Divine Persone: la seconda Persona non è il Verbo ma lo Spirito Santo.



La quarta insidia, molto legata alla precedente, è la riduzione della proposta cristiana ad esortazione morale. È l’insidia pelagiana, che Agostino chiamava l’orrendo veleno del cristianesimo. Questa riduzione ha l’effetto di rendere la proposta cristiana molto noiosa, e ripetitiva. È solo Dio che nel suo agire è sempre imprevedibile.
E infatti al centro del cristianesimo non sta l’agire dell’uomo, ma l’Azione di Dio.


La quinta insidia è il silenzio circa il giudizio di Dio, mediante una predicazione della misericordia divina fatta in modo tale che rischia di far scomparire dalla coscienza dell’uomo che ascolta la verità che Dio giudica l’uomo.


*
Due note a margine.
La prima riguarda il "grande pensatore del secolo scorso" al quale fa cenno Caffarra. È il filosofo svizzero Romano Amerio (1905-1997), autore di "Iota Unum", poderosa apologia della tradizione contro le "variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX".
La seconda riguarda il cardinale Biffi. Di lui è uscito postumo quest'anno, oltre all'epistolario con Emanuela Ghini, un altro libro prezioso, "Cose nuove e cose antiche", edito da Cantagalli, che raccoglie i suoi scritti pastorali tra il 1967 e il 1975, quando era parroco a Legnano e a Milano.

28 novembre 2017

Non abbandonarli alla tentazione di cambiare il Padre nostro

di  Don Alfredo Morselli, Stiatico di San Giorgio di Piano, 21 novembre 2010.


1 - Lo status quaestionis

Il testo del Padre nostro potrebbe subire un cambiamento: la traduzione classica della VI domanda “non ci indurre in tentazione” (Mt 6,13) verrebbe sostituita, seguendo così la nuova Bibbia CEI 2008, con “non abbandonarci alla tentazione”.
Perché questo cambiamento? 
Per evitare che qualcuno pensi che Dio possa positivamente indurre qualcuno in tentazione, o essere Egli stesso causa della tentazione.
Si tratterebbe veramente di uno scandalum mere receptum, perché è molto facile ricordare, con San Giacomo, che “Nessuno, quando è tentato, dica: "Sono tentato da Dio"; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno” (Gc 1,13).
Sono ben altri i passi difficili, che possono turbare la coscienza dei più deboli; e, sempre in tema di una certa azione positiva e diretta di Dio nella tentazione, è molto più problematico del nostro versetto quanto troviamo in 2 Ts 2,11: “Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna”. Grazie al cielo, qui nessuno ha ancora pensato di cambiare il testo sacro.
Però è anche vero che ogni scandalo, quando è possibile, va rimosso, perché “non tutti hanno la conoscenza” e quindi “se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello” (1 Cor 8, 7. 13).
Questo principio paolino, tutto informato dalla carità, va applicato anche nella traduzione dei testi sacri; a patto però di non tradire il significato del testo, di non contraffarlo; il che significherebbe contrabbandare per Parola di Dio una povera parola di uomo.
E allora ci chiediamo: non abbandonarci alla tentazione è una traduzione esatta, vera, di et ne nos inducas in tentationem, che a sua volta traduce il greco καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν? 
La nuova versione corrisponde a quello che ci ha insegnato Gesù?


2 - Cosa vuol dire "et ne nos inducas"?

La parola greca tradotta con ne inducas (μὴ εἰσενέγκῃς) è una voce del verbo εἰσφέρω, che vuol dire fare entrare dentro, introdurre.
Cosa significa questo?
Innanzi tutto, con il Padre nostro, noi non chiediamo di non essere tentati.
Sappiamo infatti che questo è impossibile; anzi, tanto quanto vorremo servire il Signore, tanto più saremo messi alla prova.
La Scrittura parla chiaro: “Perché tu eri accetto a Dio, bisognava che ti provasse la tentazione” (Tb 12, 13 Vg).
Altrettanto affermano i Padri: “La nostra vita in questo luogo di esilio non può essere senza tentazione, perché il nostro avanzamento avviene soltanto per la tentazione. Nessuno può arrivare a conoscere se stesso finché non è tentato, né essere coronato senza aver vinto. Né vince senza combattimento; né può combattere senza che vi siano nemici e tentazioni ” (S. Agostino, In Psalm. LX).
E San Leone Magno afferma: “Non si danno opere di virtù senza le prove della tentazione, né fede senza agitazioni, né lotta senza avversari, né vittoria senza combattimento. Se vogliamo trionfare dobbiamo venire alla lotta”    (Serm. I, de Quadrag.).
Se dunque non si può chiedere di non essere tentati, dovremo chiedere di vincere nella tentazione; e come si consegue questa vittoria? Non entrando nella trappola diabolica (la tentazione), rimanendo nell’amore di Gesù Cristo (Cf. Gv 15).
Chi cede alla tentazione cessa di rimanere in Dio (cf 1 Gv 4,15), e dimora nell’atmosfera diabolica: la tentazione è la porta aperta per uscire dagli atri del Signore per ritrovarsi in un paese lontano (Lc 15,13).
“Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove, stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi” (Sal 84,11). Peccare significa entrare, attraverso la porta della tentazione, in uno stato di vita lontano dal Signore, le tende degli empi.
Allora tutto ciò significa, forse, che con la VI domanda del Padre nostro, chiediamo al Signore di non indurci a lasciare il suo amore, la dimora in Lui, e che non ci faccia entrare nella dimora degli empi?


3 - Il sostrato semitico.

Con questa spiegazione, l’espressione et ne nos inducas in tentationem potrebbe essere un’occasione di scandalo ancora più pericolosa, perché sembrerebbe che Dio stesso ci possa spingere a entrare nel peccato.
A questo punto ci viene in aiuto la grammatica ebraica e aramaica. Non dobbiamo dimenticare infatti che Gesù ha insegnato il Padre nostro non certo in greco, ma – e qui ci sono varie ipotesi – o in ebraico (nella lingua colta dei farisei: cf. At 21,40; oppure nella lingua degli esseni di Qumram), o in aramaico (la lingua parlata in Palestina ai tempi di Gesù).
Ebbene, in ebraico esiste la forma causativa, per cui, con una sola parola si esprime ciò che in italiano o latino si esprime con una perifrasi.
Provo a spiegare con un esempio: attivo: mangiare; passivo: essere mangiato, riflessivo: mangiarsi; causativo attivo: fare mangiare; in ebraico fare mangiare si esprime con una parola sola, con una coniugazione particolare (detta Hiphil).
Questa forma, al negativo, si trova ad avere due possibilità di traduzione, determinate esclusivamente dal contesto. La particella negativa (’al = non) può negare o la causalità stessa o l’azione causata. Non ci indurre (<= lat. et ne nos inducas <;= gr. μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς) traduce l’ebraico ’al tebî’ênu (אל תביאנו o forme aramaiche analoghe)
’al = non tebî’ênu = facci entrare
’al tebî’ênu può essere tradotto con:
a) non farci entrare (nella tentazione): qui viene negata la causalità.
b) fa sì che non entriamo (nella tentazione): qui viene negata l’azione causata.
Tra gli studiosi che sostengono la traduzione b, troviamo Johannes Heller (1901), Jean Carmignac (1969, 1971) (“garde-nous de consentir a la tentation”): quest’ultimo offre un lungo elenco di altri autori che interpretano, pur implicitamente, in questo senso; ne riporto alcuni: Eliseo Armeno (450), Riccardo di San Vittore (tra il 1153 e il 1162), il futuro Innocenzo III (1195), T.H Robinson (1928), M. Zerwick (1953).

4 - Confronto tra le due opzioni

Se confrontiamo la proposta di Heller e di Carmignac (fa’ sì che non entriamo nella tentazione) con la nuova traduzione della CEI (non abbandonarci alla tentazione), possiamo vedere cha la prima è più corretta e presenta due vantaggi.
  1. Viene dichiarata una causalità divina positiva: Signore, agisci, fa’ sì che; Non abbandonarci richiama in modo più tenue l’azione divina, quasi che Dio venga richiamato da uno stato di non azione.
  2.  Viene meglio espressa la teologia e la dinamica psicologica della tentazione: l’uomo è - di fatto - necessariamente tentato. Il demonio non può obbligare al peccato, può solo costruire una trappola; allora chiediamo: Fa sì o Signore che io non entri colà dove il demonio mi apre le porte.
Al contrario, non abbandonarci alla tentazione non è una traduzione, ma una interpretazione: purtroppo viene dichiarato testo sacro ciò che – al più – potrebbe essere detto in una nota esplicativa.

Conclusione

Cosa ha fatto l’evangelista nel tradurre in greco le parole di Gesù pronunciate in una lingua semitica (ebraico o aramaico)? È rimasto umile, non ha voluto dare una sua spiegazione per l’uomo di quell’epoca, ma ha tradotto letteralmente parola per parola, per rimanere il più vicino possibile al verbo stesso del Salvatore, o a quella versione del Padre nostro che veniva già usata nella liturgia Eucaristica in età apostolica (Cf. la Didaché).
In poche parole non ha confuso la traduzione della Parola di Dio o di un testo liturgico con la catechesi.
Si potrebbe obiettare che era più facile per un greco che viveva in ambiente palestinese recuperare il senso del negativo causativo, di quanto non possa fare l’uomo di oggi. Al che rispondo: all’uomo di oggi si possono dare spiegazioni; e se proprio si vuole cambiare un testo con la sua parafrasi, si dia almeno la parafrasi giusta.

27 luglio 2017

Il dialogo può sostituire la missione? Qual è la vera religione.



19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».  Mt 28, 19-20
 riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra».   At 1, 8

Il 4 settembre del 2014, l'ex presidente israeliano Shimon Peres (scomparso il 28 settembre del 2016), ha incontrato in vaticano papa Francesco.
Gli ha proposto di diventare il leader di una ONU delle religioni.

Secondo l'ex presidente, sarebbe più funzionale per la pace è più efficace rispetto all'ONU politica:  "penso che dovrebbe esserci anche una Carta delle Religioni Unite, esattamente come c'è la Carta dell'Onu. [...] E' questo che ho proposto al Papa".
Per i dettagli di Peres: ANSA


Non conosciamo la risposta di Bergoglio.
Tuttavia, un mese dopo questo incontro e proposta (indecente, aggiungo),
arriva il messaggio di Benedetto XVI, letto il 21 ottobre del 2014, in occasione dell'intitolazione a lui, dell'Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana.

Di seguito una sintesi.  Sembra una risposta a Peres.

"Il Signore Risorto incaricò i suoi Apostoli, e tramite loro i discepoli di tutti i tempi, di portare la sua parola sino ai confini della terra e di fare suoi discepoli gli uomini. [...]

Ma vale davvero ancora? – si chiedono in molti, oggi, dentro e fuori la Chiesa – davvero la missione è ancora attuale?
Non sarebbe più appropriato incontrarsi nel dialogo tra le religioni e servire insieme la causa della pace nel mondo?
La contro-domanda è: il dialogo può sostituire la missione?

Oggi in molti, in effetti, sono dell’idea che le religioni dovrebbero rispettarsi a vicenda e, nel dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace.
In questo modo di pensare, il più delle volte si dà per presupposto che le diverse religioni siano varianti di un’unica e medesima realtà; che “religione” sia il genere comune, che assume forme differenti a secondo delle differenti culture, ma esprime comunque una medesima realtà.
La questione della verità, quella che in origine mosse i cristiani più di tutto il resto, qui viene messa tra parentesi.
Si presuppone che l’autentica verità su Dio, in ultima analisi, sia irraggiungibile e che tutt’al più si possa rendere presente ciò che è ineffabile solo con una varietà di simboli.
Questa rinuncia alla verità sembra realistica e utile alla pace fra le religioni nel mondo.

E tuttavia essa è letale per la fede. Infatti, la fede perde il suo carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli in fondo interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano all’inaccessibile mistero del divino.

Cari amici, vedete che la questione della missione ci pone non solo di fronte alle domande fondamentali della fede ma anche di fronte a quella di cosa sia l’uomo.


L’opinione comune è che le religioni stiano per così dire una accanto all’altra, come i Continenti e i singoli Paesi sulla carta geografica. Tuttavia questo non è esatto. [...]
 

Nel nostro tempo diviene sempre più forte la voce di coloro che vogliono convincerci che la religione come tale è superata.
Solo la ragione critica dovrebbe orientare l’agire dell’uomo.
Dietro simili concezioni sta la convinzione che con il pensiero positivistico la ragione in tutta la sua purezza abbia definitivamente acquisito il dominio.
In realtà, anche questo modo di pensare e di vivere è storicamente condizionato e legato a determinate culture storiche. Considerarlo come il solo valido sminuirebbe l’uomo, sottraendogli dimensioni essenziali della sua esistenza.
L’uomo diventa più piccolo, non più grande, quando non c’è più spazio per un ethos che, in base alla sua autentica natura, rinvia oltre il pragmatismo, quando non c’è più spazio per lo sguardo rivolto a Dio. Così, spetta a noi che crediamo spalancare sempre di nuovo le porte che, oltre la mera tecnica e il puro pragmatismo, conducono a tutta la grandezza della nostra esistenza, all’incontro con il Dio vivente.
[...] anche oggi, in un mondo profondamente mutato, rimane ragionevole il compito di comunicare agli altri il Vangelo di Gesù Cristo.

E tuttavia c’è anche un secondo modo, più semplice, per giustificare oggi questo compito.
La gioia esige di essere comunicata.
L’amore esige di essere comunicato.
La verità esige di essere comunicata.
 

Chi ha ricevuto una grande gioia, non può tenerla semplicemente per sé, deve trasmetterla.
[...] Lo stesso vale per il dono dell’amore, per il dono del riconoscimento della verità che si manifesta.
 

“Abbiamo conosciuto e creduto l’amore” (1 Gv 4,16): questa frase esprime l’autentica natura del cristianesimo. L’amore, che si realizza e si rispecchia in modo multiforme nei santi di tutti i tempi, è l’autentica prova della verità del cristianesimo.

Benedetto XVI



l'intervento completo: http://www.kath.net/news/48020
 
Per approfondire il Magistero, sull'unicità della salvezza in Gesù:
la Dichiarazione Dominus Jesus

13 luglio 2017

Fatima. 13 Luglio

Oggi è il 13 luglio 2017. Esattamente cento anni fa avveniva l'apparizione più importante e decisiva delle 6 apparizioni della Santa Madre di Dio a Fatima.

Oggi siamo in periodo di forte crisi nella Chiesa, da diversi punti di vista e non meno da quello dottrinale, mi è parso il caso di rileggere, dagli scritti della veggente suor Lucia, quell'apparizione centrale del 13 Luglio 1917, quella che conteneva il famigerato "terzo segeto".

Mi lascia sempre perplesso questa frase: "In Portogallo, si conserverà sempre il dogma della Fede; ecc..."
che cosa Ecc..? cosa hai omesso suor Lucia? E dov'è che non si conserverà?  E in Italia?
Cento anni dopo assistiamo all'apostasia silenziosa.
La fede si sta spegnendo, come preoccupato denunciava il Santo Padre Benedetto XVI!


dalla "Quarta Memoria di Suor Lucia"     (pagg 172-174   8° edizione aprile 2005 Gráfica Almondina – Torres Novas)

Il tredici luglio

13 luglio 1917 – Pochi minuti dopo che eravamo giunti alla Cova d’lria, presso il leccio, tra la numerosa folla di popolo, mentre  recitavamo il rosario, vedemmo il riflesso della solita luce e subito
dopo la Madonna sul leccio.
– Cosa vuole da me? – domandai.
Voglio che veniate qui il 13 del mese prossimo, che continuiate
a recitare il rosario tutti i giorni in onore della Madonna del
Rosario, per ottenere la pace del mondo e la fine della guerra,
perché soltanto Lei vi potrà aiutare.

Vorrei chiederLe di dirci Chi è; di fare un miracolo perché
credano tutti che Lei ci appare.

Continuate a venir qui tutti i mesi. A ottobre dirò Chi sono,
quel che voglio e farò un miracolo che tutti potranno vedere per credere.
A questo punto feci alcune richieste, che non ricordo bene.
Quel che mi ricordo è che la Madonna disse che bisognava recitare il rosario per ottenere le grazie durante l’anno.
E continuò:
Sacrificatevi per i peccatori, e dite molte volte, specialmente
ogni volta che fate qualche sacrificio: 

O Gesù, è per amor Vostro, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria.
Dicendo queste ultime parole, aprì di nuovo le mani, come nei due mesi precedenti.
Sembrò che il riflesso penetrasse la terra e vedemmo come un mare di fuoco.
Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero brace trasparenti e nere, o bronzee, in forma umana, che fluttuavano nell’incendio, trasportate dalle fiamme che uscivano da loro stesse, insieme a nuvole di fumo che cadevano da ogni parte, uguali al cadere delle scintille nei grandi (incendi ), senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che suscitavano orrore e facevano tremar di paura.
(Dev’esser stato dinanzi a questa visione che lasciai scappare quell’«ahi», che dicono di avermi sentito dire).
I demoni si distinguevano per le forme orribili e schifose di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni roventi.
foto scattata proprio il 13 luglio 1917.
Spaventati e come per chiedere aiuto, alzammo gli occhi alla Madonna, che ci disse con bontà e tristezza:
Avete visto l’lnferno, dove cadono le anime dei poveri peccatori.
Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. 

Se faranno quel che io vi dirò, molte anime si
salveranno e avranno pace.


 La guerra sta per finire. Ma, se non
smetteranno di offendere Dio, nel pontificato di Pio Xl, ne comincerà un’altra peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una
luce sconosciuta* ,  sappiate che è il grande segno che Dio vi dà, che punirà il mondo per i suoi delitti, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre.
Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato, e la Comunione riparatrice nei primi sabati  Se ascolteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e ci sarà pace.   Se no, diffonderà i suoi errori nel mondo, suscitando guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte.  


Finalmente il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre mi  consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo  qualche tempo di pace 18.
 In Portogallo, si conserverà sempre il dogma della Fede; ecc...  Questo non ditelo a nessuno.  A Francesco,  sì, potete dirlo.


Quando reciterete il rosario, dopo ogni mistero dite: «O Gesù mio! Perdonateci, liberateci dal fuoco dell’inferno, portate in Cielo tutte le anime, specialmente quelle che ne hanno più bisogno».

Seguì un momento di silenzio, poi domandai:
Non vuol più niente da me?
No. Per oggi non voglio più niente da te.
E come al solito, cominciò ad alzarsi in direzione dell’oriente fino a sparire nell’immensa distanza del firmamento.

* Si tratta dell’aurora Boreale, nella notte del 25 gennaio 1938, che fu un fenomeno straordinario e che Lucia considerò sempre come il segno promesso dal Cielo.

8 giugno 2017

Il Sacro Cuore di Gesù



La devozione al Sacro Cuore di Gesù non proviene dall' Uomo, ma è una richiesta che viene direttamente dal Cielo. Alcuni sacerdoti da subito l'hanno raccomandata. Da ricordare S. Giovanni Eudes (che addiritura precede) il primo e più ardente apostolo del culto liturgico ai Sacri Cuori di Gesú e di Maria.
La Chiesa finalmente la ufficializza (quasi 2 secoli dopo, cioè dal 1856 con Pio IX) istituendo la festa del Sacro Cuore come richiesto da Gesù nel 1675.
Nel bel mezzo del rigore religioso dei giansenisti che presentavano un Dio lontano a da ingraziarsi,
il Cielo si rende presente nuovamente sulla Terra con un' apparizione importante di Gesù.  La più importante. Solo nel 1931 ve ne sarà una simile, quella a suora Faustina Kowalska per richiamare gli uomini per l'ultima volta alla Sua Misericordia.
Legata a doppiofilo, per le richieste e gli scopi, a questa del Sacro Cuore che a sua volta è connessa con la devozione al Cuore Immacolato di Maria, chiesta ai pastorelli di Fatima nel 1917.

  Quanti rimedi per l'umanità malata! Quante cure oltre il Vangelo!

Ma come si sviluppa questa devozione?
Perchè aiuta le anime ad avvicinarsi a Dio e a santificasri?

Compreso che l'ha voluta Gesù, ascoltiamo Pio XII, dall'encilcica Haurietis Aquas:
  • l’amore che spira dal Vangelo, dalle lettere degli Apostoli e dalle pagine dell’Apocalisse, dov’è descritto altresì l’amore del Cuore di Gesù Cristo, non comprende soltanto la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell’affetto umano. Per chiunque fa professione di fede cattolica è questa una  verità inconcussa. [...] Pertanto il Cuore di Gesù Cristo, unito ipostaticamente alla Persona divina del Verbo, dovette indubbiamente palpitare d’amore e di ogni altro affetto sensibile;  
  •  C'è nel popolo cristiano chi ignora o non si cura di quel che l'amatissimo Gesù ha lamentato nelle sue apparizioni a Margherita Maria Alacoque e quel che ha indicato di aspettare e volere dagli uomini, in vista del loro stesso vantaggio.
  • Infatti, nel manifestarsi a Margherita Maria, Gesù, mentre proclamava l'immensità del suo amore, al tempo stesso, in atteggiamento di addolorato, si lamentò dei molti e gravi oltraggi che gli venivano recati dagli uomini ingrati, e pronunziò queste parole che dovrebbero rimanere sempre scolpite nelle anime pie e mai dimenticate: "Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e li ha ricolmati di ogni genere di benefici, e che in cambio del suo amore infinito non solo non ha avuto alcuna gratitudine, ma, al contrario, dimenticanza, indifferenza, oltraggi, e questi recati, a volte, anche da coloro che sono tenuti per dovere, a rispondere con uno speciale amore".
  • [...] Lo stesso Redentore nostro, infatti, ha promesso a Margherita Maria che "avrebbe colmato con l'abbondanza delle sue grazie celesti tutti coloro che avessero reso questo onore al suo Cuore". 

Dunque, questa devozione proviene direttamente dal Cielo per il tramite di S. Margherita Maria Alacoque, suora francese entrata in convento nel 1671 a 24 anni.
Riceverà apparizioni di Gesù tra il 1673 e il 1690.  La vita, le apparizioni e il suo rapporto mistico sponsale con Gesù sono ben documentate nella sua autobiografia qui.



Di seguito il resconto delle apparizioni centrali di Gesù, quelle della richiesta del culto al Suo Sacro Cuore.
Vorrei mettere in evidenza che le apparizioni avvengono mentre è in adorazione Eucaristica: 
Una volta, in particolare, mentre era esposto il Santo Sacramento, sentendomi tutta assorta nell'intimo del mio essere per un raccoglimento straordinario di tutti i miei sensi e di tutte le mie facoltà, Gesù Cristo, il mio dolce Maestro, si presentò a me tutto splendente di gloria con le sue cinque piaghe sfolgoranti come cinque soli.
Da ogni parte di quella sacra Umanità si sprigionavano fiamme, ma soprattutto dal suo adorabile petto, che somigliava a una fornace ardente. Dopo averlo scoperto, mi mostrò il suo amante e amabilissimo Cuore, sorgente viva di quelle fiamme.
Fu allora che mi svelò le meraviglie inesplicabili del suo puro Amore e fino a quale eccesso questo lo avesse spinto ad amare gli uomini, dai quali poi non riceveva in cambio che ingratitudini e indifferenza. «Questo, mi disse, mi fa soffrire più di tutto ciò che ho patito nella mia Passione, mentre se, in cambio, mi rendessero almeno un po' di amore, stimerei poco ciò che ho fatto per loro e vorrei, se fosse possibile, fare ancora di più. Invece non ho dagli uomini che freddezze e ripulse alle infinite premure che mi prendo per far loro del bene».


Una volta mentre ero davanti al SS.mo Sacramento, (era un giorno dell'ottava del «Corpus Domini») ricevetti dal mio Dio grazie straordinarie del suo Amore; mi sentii spinta dal desiderio di ricambiarlo e di rendergli amore per amore. Egli mi rivolse queste parole: «Tu non puoi mostrarmi amore più grande che facendo ciò che tante volte ti ho domandato».
Allora scoprendo il suo divin Cuore mi disse: «Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo Amore.
In segno di riconoscenza, però, non ricevo dalla maggior parte di essi che ingratitudini per le loro tante irriverenze, i loro sacrilegi e per le freddezze e i disprezzi che essi mi usano in questo Sacramento d'Amore. Ma ciò che più mi amareggia è che ci siano anche dei cuori a me consacrati che mi trattano così ». 

    «Per questo ti chiedo che il primo venerdì dopo l'ottava del "Corpus Domini", sia dedicato a una festa particolare per onorare il mio Cuore, ricevendo in quel giorno la santa comunione e facendo un'ammenda d'onore per riparare tutti gli oltraggi ricevuti durante il periodo in cui è stato esposto sugli altari.
Io ti prometto che il mio Cuore si dilaterà per effondere con abbondanza le ricchezze del suo divino Amore su coloro che gli renderanno questo onore e procureranno che gli sia reso da altri».

16 marzo 2017

Chi è l'autore del Quarto Vangelo?

tratto da ToscanaOggi

Risponde don Stefano Tarocchi, docente di Sacra Scrittura
Il Vangelo di Giovanni, ultimo fra i quattro Vangeli, ha sempre attratto l'attenzione dei suoi lettori come il Vangelo spirituale, il Vangelo teologico. 

La data della sua composizione (intorno agli anni '90, nella città di Efeso) e la stessa struttura ne fanno un elemento unico nel panorama del Nuovo Testamento.
 

Almeno fino a qualche generazione fa, esso era ritenuto pacificamente un Vangelo scritto da un testimone diretto, un discepolo, a differenza degli scritti di Marco e di Luca, che non erano stati discepoli di Gesù.
Le differenze con i Sinottici erano spiegate con l'intenzione dell'evangelista di completare le narrazioni di questi ultimi, omettendo quelle parti su cui essi si erano già dilungati.

Il suo autore presunto, «Giovanni, il figlio di Zebedeo», già secondo la tradizione della Chiesa antica (Papia di Gerapoli, Ireneo di Lione, ecc.) è stato ritenuto così vicino alla persona di Gesù da potersi fregiare del titolo di «prediletto» e così rendere una testimonianza unica sui gesti compiuti da Gesù.
È noto, infatti, che nel Quarto Vangelo spicca la figura misteriosa di un discepolo, definito il «discepolo prediletto». 

Nell'ultima cena questi siede accanto a Gesù, cui chiede il nome del traditore (13,23-25). Il «discepolo prediletto» è accanto alla madre di Gesù nell'ora della croce (19,26-27). Il «discepolo prediletto» corre con Simon Pietro al sepolcro (20,1-8) e partecipa alla pesca sul mare di Tiberiade, quando riconosce il Signore (21,6-7). 
Il «discepolo prediletto», infine, segue Gesù e Simon Pietro, quando riceve il mandato pastorale: di lui Gesù afferma a Pietro che egli rimarrà in vita fino alla sua venuta (21,20-23).

Per la verità, un altro «discepolo», anonimo, compare nella scena della vocazione dei discepoli di Giovanni (1,35-38.40). E, ancora, nel momento della passione, Simon Pietro segue Gesù con un «altro discepolo», di nuovo anonimo, che lo introduce  al sommo sacerdote (18,15-16), con il cui ambiente sembra avere dimestichezza. Ma non pare si tratti del «discepolo prediletto», da cui lo dividono non pochi dettagli. Per di più si afferma che questo «discepolo prediletto» ha «scritto» lo stesso Vangelo: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» (21,24).

Non ci si è fermati a pensare al solo Giovanni di Zebedeo nello sforzo di dare un volto a questa misteriosa figura, di cui non c'è traccia nella tradizione evangelica extra-giovannea: alcuni hanno pensato ad altri personaggi del Nuovo Testamento: Lazzaro, o Giovanni Marco (ovvero Marco, autore del Vangelo omonimo), per esempio. Altri hanno sostenuto che il «discepolo prediletto» non sia una persona in carne ed ossa ma un simbolo ed un modello del discepolo perfetto. Si può tuttavia osservare come la stessa Madre di Gesù, senza essere chiamata per nome, è presente in alcune scene che si trovano solo in questo Vangelo (l'episodio di Cana e la scena della crocifissione: 2,3-12; 19,25-27), ma a nessuno verrebbe in mente di negarne l'esistenza reale.
 

Non tutti concordano con questa interpretazione, anche se suggestiva. Personalmente ritengo che la tradizione antica, che pensa al «discepolo prediletto» come Giovanni di Zebedeo, anche se non senza problemi, sia da considerarsi la più probabile. Questo non significa che le due figure del «discepolo prediletto» e dell'«evangelista» (= colui che materialmente ha scritto il Vangelo) coincidano.
Se, infatti, il Quarto Vangelo dice con chiarezza che il «prediletto» è «il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti» (21,24), è pur vero che nella «prima finale» del Vangelo (20,30-31) si parla dello scrivere in maniera più generica, come pure nella scena della crocifissione si accenna in maniera diversa alla stessa testimonianza: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (19,35).

Chi scrive il Vangelo ha un legame profondo con il «discepolo prediletto», senza essere stato un testimone oculare; è forse un suo discepolo, ed appartiene alla «comunità giovannea». Costui ha profondi legami con la geografia, anche minuta della Palestina, e delle istituzioni del giudaismo. All'interno della comunità giovannea egli vive tutto il travaglio del progressivo distacco dal mondo giudaico, mentre si va affinando la comprensione della figura di Gesù, accentuandone la dimensione divina.
Dobbiamo, in ultimo, pensare ad una composizione finale - o persino ad un diverso altro autore - che completa il Vangelo, senza alterare nulla, e vi aggiunge il capitolo 21, dopo la morte del «discepolo prediletto».

 Secondo altri studiosi, sarebbe stato proprio l'«evangelista» a far trovare un posto nel Quarto Vangelo al «discepolo prediletto», oscurando la figura di Giovanni di Zebedeo, per sostituirla con la figura misteriosa che si incontra nelle sue pagine. Se così fosse, la successiva identificazione tradizionale del «prediletto» con il figlio di Zebedeo avrebbe un'ulteriore giustificazione. Infatti, «con un'ironia degna del vangelo stesso» - come ha scritto uno studioso -, alla fine del II secolo Giovanni di Zebedeo avrebbe assunto di nuovo il ruolo dal quale era stato estromesso.


5 gennaio 2017

La stella, e i Magi

essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. (Mt 2,9)


Vi presento un articolo tratto dal sito cattolico Aleteia.

Ci sono 3 ipotesi sulla stella seguita dai Magi, e la più accreditata è quella di una particolare congiunzione astrale
I Magi erano esperti scrutatori dei cieli, e val la pena notare come in effetti ci fu una congiunzione straordinaria di Giove e Saturno nel 7 A.C. (Si sa come il calcolo degli anni si discosti dalla vera nascita di Cristo).
Su questo sito c'è la simulazione dei cieli e dei pianeti visti da Amman nel 7 A.C.:
http://www.astrionline.it/calendari/7aC.aspx 

Segnalo questo articolo sempre sulla tripla congiunzione Giove-Saturno del 7 A.C.:
http://giuseppedecesaris.blogspot.it/2011/12/la-congiunzione-giove-saturno-tripla.html
che sottolinea soprattutto questo fatto curioso:
  " i due pianeti rimasero per molti mesi a fare un armonico balletto nel cielo notturno: la loro distanza angolare infatti rimase inferiore a 3° dal 27 aprile del 7 AC fino al 14 gennaio del 6 AC, cioè per quasi 9 mesi. Una sorta di gravidanza celeste insomma, il contesto ideale per la nascita di qualcuno - come Gesù Cristo - riconosciuto contemporaneamente Figlio del cielo e Figlio d'uomo."

 Il Verbo, Il Re dei Re, Colui per mezzo del Quale esistono tutte le cose, ovviamente lancia nel cosmo dei segni.



La stella d'Oriente viene menzionata nel Vangelo di San Matteo.
Dei magi chiedono a Gerusalemme:
 “Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2).

I due capitoli iniziali dei Vangeli di San Matteo e San Luca narrano alcune scene dell'infanzia di Gesù, per cui vengono chiamati “Vangeli dell'infanzia”.
La stella appare nel “Vangelo dell'infanzia” di San Matteo.
I Vangeli dell'infanzia hanno un carattere leggermente diverso dal resto del Vangelo.
Per questo sono pieni di evocazioni di testi dell'Antico Testamento che compiono gesti di enorme significato.
In questo senso, la loro storicità non si può esaminare nello stesso modo in cui si esamina quella del resto degli episodi evangelici.
All'interno dei Vangeli dell'infanzia ci sono differenze: quello di San Luca è il primo capitolo del Vangelo, ma in San Matteo è come un riassunto dei contenuti dell'intero testo.
Il passo dei Magi (Mt 2,1-12) mostra che dei gentili, che non appartengono al popolo di Israele, scoprono la rivelazione di Dio attraverso il loro studio e le loro conoscenze umane (le stelle), ma non arrivano alla pienezza della verità se non attraverso le Scritture di Israele.

Ai tempi della composizione del Vangelo, era relativamente normale il fatto di credere che la nascita di una persona importante o qualche evento rilevante fosse annunciato con un prodigio nel firmamento.

A questa credenza partecipavano il mondo pagano (cfr. Svetonio, Vita dei Cesari, Augusto, 94; Cicerone, De Divinatione 1,23,47; ecc.) e quello ebraico (Flavio Giuseppe, La Guerra Giudaica, 5,3,310-312; 6,3,289).
 Il libro dei Numeri (capp. 22-24) raccoglieva inoltre un oracolo in cui si diceva:
“Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17).
 Questo passo veniva interpretato come un oracolo di salvezza, sul Messia.
In queste condizioni, si offre il contesto adeguato per comprendere il segno della stella.

Cosa poteva essere la Stella?
L'esegesi moderna si è chiesta quale fenomeno naturale si sia potuto verificare nel firmamento per essere interpretato dagli uomini dell'epoca come qualcosa di straordinario. Le ipotesi avanzate sono principalmente tre:
  1.  Keplero (XVII secolo) ha parlato di una supernova; si tratta di una stella in cui ha luogo un'esplosione di modo che per alcune settimane ha più luce ed è individuabile dalla terra; 
     
  2.  una cometa, perché le comete seguono un percorso regolare ma ellittico, intorno al sole: nella parte più distante della loro orbita non sono individuabili dalla terra, ma se sono vicine si possono vedere per un certo periodo di tempo. Questa descrizione coincide anche con ciò che viene segnalato nel racconto di Matteo, ma l'apparizione delle comete note visibili dalla terra non si adatta alle date in cui sarebbe apparsa la stella;


  3. una congiunzione planetaria di Giove e Saturno.   Anche Keplero ha richiamato l'attenzione su questo fenomeno periodico, che se non sbagliamo i calcoli si sarebbe potuto verificare negli anni 6-7 prima della nostra era, ovvero quelli in cui secondo le ricerche è nato Gesù.