28 settembre 2016

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (Lectio su Ef 6,10-20)


IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE

Una Lectio di don Danilo Belotti (R.I.P amico mio.)

organizzata dalle suore dell’Arca di Maria (parrocchia del Beato Nunzio, Pescara). Ci si imbatte in diverse questioni per il COMBATTIMENTO SPIRITUALE  (lectio su Ef 6, 10-20.)

Ef 6,10-20
10Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. 11Indossate l'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. 12La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
13Prendete dunque l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. 14State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; 15i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. 16Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; 17prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. 18In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi. 19E pregate anche per me, affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, 20per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare.

Sintesi:
Satana ci attacca e ancora di più i consacrati a Maria, con molti inganni per separarci da Dio:
  • illusione con la falsa religiosità, con al centro l’uomo e non Dio,
sincretismo religioso per saziare il bisogno spirituale dell’uomo, ma con il veleno (attuale il rischio esistente ora in alcune correnti della Chiesa),
  • Illusione dell’ “occultismo” ed esoterismo, per avere il potere o la guarigione (Reiki, Yoga, omeopatia, malocchio).
 Tecnica del diavolo: l’inganno,  
al fine di piegare la libertà (donata per amore da Dio all’uomo) e creare le divisioni (tutte scaturite dal peccato originale):
1) tra uomo e Dio, 2) nell’uomo in sé stesso, 3)tra uomo e uomo e 4)tra uomo e Creato.



Il grande illusionista, il diavolo, ci illude e crea l’attrazione per il male (concupiscenza).
Il maligno è come un grande regista che predispone il set per le nostre tentazioni.
I nemici dell’uomo sono 
  1. la carne,
  2. il mondo, 
  3. il maligno.
Siamo sempre in lotta con tutte e 3 (sono in ordine di incidenza nella vita quotidiana. Il primo nemico –la carne-  è “me stesso”).

SI RIESCE A COMBATTERE SOLO CON DIO, che ha già vinto, da soli soccombiamo: ci vuole
  • Fede
  • Umiltà
  • Pazienza

Lo scudo è la Fede. 
La spada è la Parola di Dio (s. Paolo).  Senza la Parola di Dio, da masticare, perdiamo.

 

La lotta avviene nel nostro intimo, nel nostro cuore (sede del pensare, del volere, del discernere, del percepire, del sentire e delle sensazioni)


Necessario conoscere i nostri movimenti interiori: Come? con il silenzio.
  


PASSAGGI DELLA TENTAZIONE:
1) La tentazione parte dalla testa:  pensiero (ricordo o suggestione)
Il maligno lavora prima di tutto nel pensiero.
2) dopo l’attacco si crea un legame: debole, se lo respingo o forte
3) se il legame è forte, (dialogando col pensiero) permetto il CONSENSO al peccato
4) l’adempimento del peccato


ARM  (da Ef 6,10-20):
La Verità : adesione a Cristo Gesù, cioè aver accettato la signoria di Gesù.
L’arma con la quale Gesù stesso vince, nel deserto e, soprattutto sulla croce (compiendo tutto fino alla fine).  La Parola di Dio dà la Verità.
La Giustizia: la salvezza che Dio offre all’uomo.  Dio è il mio giudice. Dio è il mio giustiziere (contro il male e l’accusatore –satana-). Allontana la tentazione di ripiegarsi su sé stesso, e uscire fuori verso Dio
Lo Zelo:  dare lode e onore al Signore, senza maschere, con quello che siamo.  Adorando Colui che ci difende e ci salva.
La Fede: appoggiarsi su Dio, roccia di salvezza.  Utile ripetere spesso il nome di Gesù (esempio la preghiera del cuore), nel momento in cui la tentazione comincia nel pensiero.
La fede ci libera dalle paure, dalle superstizioni. È il dono più prezioso che abbiamo e per il quale dobbiamo essere disposti a perdere la vita.
La Parola: lettura nello Spirito Santo e ruminata.
La Preghiera: dono di grazia in cui Dio ci viene incontro e ci interpella. Entrare in dialogo con Dio. Non quantità di preghiere, ma QUALITA’ di preghiera.
Demonio ci lascia tranquilli, dopo un po’ di tempo, ti senti bene e siccome stai bene, rimandi la preghiera.
Quando hai perso l’abitudine alla preghiera, lì demonio attacca forte.
Perseveranza e Vigilanza: Riporre tutta la vita nel Signore e attendere che Egli venga a farci visita (anche nel quotidiano). Desiderio e attesa di incontrare Dio. Apertura alla speranza. Poggia sulla Fede (1Pt 5,8)


 Oltre le armi spirituali elencate da S.Paolo, ci sono le armi potentissime dei Sacramenti.
Dio ci trasforma attraverso di essi.



 La lectio, (in 3 parti):
Combattimento Spirituale 1  (20 min.):

Combattimento Spirituale 2  (25 min.) :

Combattimento Spirituale 3  (26 min.) :

9 settembre 2016

Festival del Creato CHIETI 

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so' le laude, la gloria e 'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate


Francesco di Assisi


Quest’anno all'avvio la prima edizione del Festival del Creato su iniziativa dell’Ordine Francescano Secolare di Chieti e dei Frati Minori Conventuali di Abruzzo e Molise coadiuvati dalla Consulta dei Laici di Chieti e supportati dalla Diocesi di Chieti - Vasto.

San Francesco d’Assisi infatti non amava semplicemente la bellezza della natura, ma tutte le meravigliose realtà create da Dio, prima fra tutte l’uomo. 


San Francesco ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale il Creatore ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà e usa un linguaggio nuovo che chiama fratello e sorella ogni creatura animata e inanimata.

 Così nel Cantico delle Creature tutto è metafora per sentirsi figli dello stesso Padre; custodire l’intero creato è avere rispetto per ogni creatura e dunque per il suo Creatore.

Per diffondere il pensiero francescano fondato sui valori di fraternità, umiltà, carità e pace, ci si è affidati alla “formula Festival”: una manifestazione che permette di uscire nelle piazze, tra la gente per annunciare il Vangelo e nuovi stili di vita, incontrando e rimanendo aperti al dialogo. È anche un modo per richiamare tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico e sociale, alla “custodia” della creazione, al rispetto della natura e della storia dell'uomo!!!


19 agosto 2016

CAMPOSCUOLA di Fraternità, 12-15 Agosto 2016.  Altipiani di Arcinazzo (Rm)

 

 CHI MANGIA ME, VIVRA' PER ME     (Gv 6,57)

 

Tutta l'umanità trepidi, l'universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull'altare, nella mano del sacerdote, si rende presente Cristo, il Figlio del Dio vivo.   
 O sublimità umile, che il Signore dell'universo, Dio e Figlio di Dio, così si  umili da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane! ”
 S. Francesco  (Lettera all’ordine, F.F. 221)

 
Quest'anno siamo tornati nella splendida struttura dei salesiani, Casal Biancaneve ad Altipiani di Arcinazzo, poco distante da Subiaco e dagli storici monasteri di san Benedetto (Sacro Speco)  e Santa Scolastica.




Il tema è quello centrale di tutta la nostra Fede: L'Eucarestia. 

Abbiamo esaminato questo dono divino, su diversi livelli, come di consueto:
       I.      Parola;
      II.      Magistero;
     III.     Miracoli e prodigi Eucaristici;

il nostro assistente, P. Fabrizio De Lellis, ci ha proposto una Lectio Divina sul vangelo di Matteo 26: Gesù che nell’ultima cena istituisce questo mirabile sacramento per la vita eterna.
Proponendoci una meditazione che ognuno ha scelto tra:
a.       Nuova Alleanza
b.      Ringraziamento 

Ci siamo poi confrontati e nutriti con il Magistero, con delle sintesi preparata dal Consiglio, su alcuni testi mirabili partendo da  HAURIETIS AQUAS di Pio XII, fino alla magnifica ECCLESIA DE EUCHARISTIA di Giovanni Paolo II e la MANE NOBISCUM DOMINE , passando per la Sacramentum caritatis di Benedetto XVI o la MYSTERIUM FIDEI di Paolo VI.

Poi i miracoli eucaristici;   
curati direttamente da alcuni dei fratelli. Suddivisi in 4 aree:
1)      Miracoli Eucaristici del passato:
Abbiamo approfondito il miracolo eucaristico più studiato dalla scienza, quello di Lanciano, ma anche quello di Siena, e quello di Bolsena.

2)      Miracoli Eucaristici degli ultimi anni:
Se qualcuno pensava che i miracoli eucaristici sono eventi del passato, si sarà ricreduto nello scoprire che nell’era attuale si stanno intensificando. Negli anni ’90 ci sono stati 2 miracoli a Buenos Aires, studiati da Maurizio Blondet in “Un cuore per la via eterna”; e ancora in Ungheria e in Messico, fino all’ultimo riconosciuto lo scorso 10 aprile, avvenuto in Polonia il 25 dicembre 2013 (tutti sono avvenuti in giorni di grande festività).
 


3)      Mistiche Eucaristiche:
Ci sono state delle mistiche che hanno vissuto mangiando soltanto l’Ostia Santa, cioè senza nutrirsi di altro per 50 anni. Mistiche eccezionali, che hanno vissuto sulla loro pelle la Passione di Cristo.  
I casi esaminati: la beata Alexandrina da Costa, la serva di Dio Teresa Neumann, la venerabile Marthe Robin.

4)      Prodigi Eucaristici, fatti miracolosi per mezzo dell’Eucarestia:
Santa Chiara, che soltanto con il Santissimo Sacr. scaccia i Saraceni; 
le guarigioni a Lourdes proprio durante la processione del Santissimo Sacr.; 
la conversione di tipo “On-Off” di Andrè Frossard, che da ateo e marxista, davanti al Santissimo Sacr. esposto si converte, come da lui testimoniato nel suo celeberrimo “Dio esiste, l’ho incontrato”.


Questi momenti formativi sono stati accompagnati dalla Messa e da Adorazione Eucaristica quotidiana. Comunitaria o a turni come quella notturna, fino a culminare, nel giorno della Festa di Maria Assunta in Cielo,  nella preghiera fatta ad ogni singolo fratello davanti a Gesù.

L’Eucarestia dunque è  il centro della nostra Fede?

Direi piuttosto che l Eucarestia è il “Cuore” della nostra Fede.

Questo campo (per grazia dello Spirito Santo ivi presente) ha fatto emergere chiaramente come l’Ostia consacrata dal sacerdote (che potere immenso che Dio gli concede per i meriti di Gesù, come tante volte aveva osservato lo stesso san Francesco) sia non semplicemente il corpo di Cristo, ma bensì il Suo Sacratissimo Cuore.

Il vero Cuore, di Carne e Sangue.


Non solo.

L’Eucarestia è un cuore di una persona sofferente, agonizzante:  cioè il cuore di Gesù sulla croce.
Questo è il grande mistero.

 Questo è il sacramento che testimonia la nostra liberazione, e l’Amore di Dio per me.

Da quel sacrificio perfetto di Gesù, perché vero Dio e vero Uomo, riceviamo il perdono dei peccati. (cfr. Mt 26,28; Eb 9 e Eb 10)

L’uomo vecchio  muore e il peccato è sconfitto, Satana è sconfitto e la morte è sconfitta. (cfr. Rm 5 e Rm 6, 1Cor 15)

Mangiando quel cuore, riceviamo il nutrimento per la nostra eredità di figli di Dio: la vita eterna, cioè una vita divina, piena (cfr. Gv 6) grazie a Dio che per amore si umilia fino a morire in croce (cfr. Fil 2)  e renderci coeredi (cfr. Rm 8,17 e Gal 4,7) di Cristo.

 

Quando mangio l’Ostia Santa posso dire con l’Apostolo:
 “ non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.” (Gal 2,20)


Gesù è vivo!
Gesù è il Signore!

Grazie Maria Santissima per la Tua intercessione
Grazie Trinità Santa, che hai operato prodigi in mezzo a noi.

15 giugno 2016

Eli, Eli, lemà sabàctany. Perchè il sacrificio della croce

Vi propongo una riflessione che va al centro di tutto la nostra Fede:
Il motivo del sacrificio di Gesù sulla croce.

Proposta da Cesaremaria Glori e pubblicata su Riscossa Cristiana.


Quella frase di Gesù va intesa nel suo preciso significato letterale e nel contesto storico e culturale della Giudea in quel determinato tempo. Come ha ben spiegato Mons. Antonio Livi in una sua precisa ed esauriente recente relazione, era costume ebraico citare il primo versetto di un salmo o di un brano della Sacra Scrittura per richiamare l’intero brano oppure il  significato in esso contenuto o l’intero contesto. Questo aspetto fu, ad esempio, ben messo in evidenza da Mel Gibson nel suo Film “La Passione” ponendo in bocca allo scriba Sadok l’osservazione ri
volta a coloro che avevano commentato la frase di Gesù : “Ecco, chiama Elia”.
Sadok, corresse, dicendo: No! Sta citando il salmo (22).
Quella citazione non era perciò un disperato o affranto lamento di Gesù e, tanto meno, una sconsolata e impotente invocazione del Figlio rivolta al Padre.
Quella citazione di Gesù era rivolta ai Suoi crocifissori e, a futura memoria, per ogni altra persona per far capire che quel che stava accadendo corrispondeva in pieno a ciò che era stato predetto dal profeta.
  Analizziamo questa frase che in aramaico suona: Eli, Eli, lemà sabàctany.
 La traduzione greca di queste quattro parole è la seguente: θέε  μου θέε μου ινατί με εγκατέλιπες che in italiano si dovrebbe tradurre con significato finalistico Dio mio, Dio mio, a questo fine mi hai abbandonato.
 La vulgata latina di S. Girolamo traduce molto bene

Deus meus Deus meus ut quid derelequisti me che ha lo stesso valore finalistico e non causale della traduzione greca. Quell’ “ut quid”, soprattutto, rivela in modo preciso il suo valore finalistico e non causale.
 Quella frase aramaica va quindi interpretata non in senso causale e, quindi non con significato interrogativo, bensì con significato affermativo.
Il che significa che Gesù, in quel momento, volle affermare e, contemporaneamente, chiederne conferma al Padre che si stava avverando l’evento della redenzione, cioè che Lui stava portando a compimento lo scopo della Sua missione.

Egli compiva quel sacrificio espiatorio che Yhwh aveva impedito ad Abramo di compiere su Isacco. Gesù in quel momento era la vittima predestinata dall’Altissimo per redimere la colpa del capostipite che mai aveva chiesto perdono del suo atto.
Atto che crocifiggeva l’intera umanità ad una esistenza con una natura irrimediabilmente guastata divenuta preda della concupiscenza animalesca.
Concupiscenza che condizionava l’intelletto e indirizzava la ragione verso la parte meno significativa della natura umana.
Gesù, oltre che vittima, era in quel momento anche sacerdote. Sacerdote che immola se stesso abbandonandosi nelle mani di coloro che lo volevano  morto e morto, per di più, con un supplizio infamante che ne rovinasse irrimediabilmente l’immagine che di Lui si erano fatta i suoi numerosi sostenitori e i discepoli.



Davide, nel salmo 22, implorava da Dio di chiarirgli il perché di tanta sofferenza nell’uomo ed ora, lì sul Golgota, l’Uomo-Dio dava la risposta, non all’uomo Davide soltanto ma a tutta l’Umanità, che quella sofferenza particolare dell’Uomo Dio, del Messia, riscattava l’Umanità intera dal suo misero destino di una eternità terrificante.

Non si pensi che questa interpretazione sia forzata, illogica e non collimante con il contesto del brano in cui l’intera frase aramaica è contenuta. Questa spiegazione è invece avvalorata dalle successive parole pronunciate da Gesù.
Sia il τετέλεσται greco che il consummatum est della vulgata latina significano letteralmente missione compiuta.
La traduzione italiana adottata dalla CEI con “Tutto è compiuto” risponde fedelmente sia al testo greco che a quello latino.
In tal modo i quattro evangelisti, ciascuno per la sua parte, trasmettono con esattezza quanto Gesù pronunciò sulla croce e che si rivela mirabilmente coerente, come se per comprendere con precisione quanto Egli disse occorra la partecipazione corale di più persone.

Gesù, pur nella atroce sofferenza in cui era immerso, non perse mai la sua lucidità sino all’ultimo istante. Aveva iniziato la sua marcia verso Gerusalemme rimproverando Pietro che lo voleva trattenere. I Vangeli ci narrano che irrigidì la sua fisionomia e iniziò con decisione il suo cammino verso la città santa senza alcuna esitazione.
Come Dio Gesù sapeva quel che lo attendeva e come uomo ne ebbe paura. Paura che scacciò invocando il Padre, quel Padre cui, all’ultimo istante,  si rivolge affidandoGli il Suo spirito e prendendo commiato dal mondo: Padre nelle tue mani affido il mio spirito. Quali saranno le parole che Gesù pronuncerà al Suo ritorno? Tutto dipenderà da come il mondo gli si presenterà in quel momento.

In quel venerdì dell’anno trenta dell’era cristiana, negli ultimi istanti della Sua vita terrena, il Redentore affermò inequivocabilmente che la Sua missione era compiuta e il peccato originale eliminato come colpa ma non come conseguenza nella natura umana.
L’umanità era salva e gli esseri umani avrebbero continuato a soffrire e a morire come era avvenuto per il Cristo ma sarebbero risorti come Lui alla fine dei tempi.

Gesù compiva la redenzione adottando l’umanità a Dio per poi trasformare quell’adozione in Figli legittimi e non più adottivi alla fine dei tempi.  Questa interpretazione trova corrispondenza con quanto contenuto con mirabile efficacia nel prefazio pasquale che così recita: Qui mortem nostram moriendo destruxit et vitam moriendo reparavit. La frase latina è così icasticamente efficace che non abbisogna di traduzione che ne mortificherebbe la bellezza.

La nostra natura umana guastata dal capostipite troverà la sostituzione all’ultimo giorno grazie al sacrificio dell’Uomo Dio che si è assunto tutto il peccato del mondo eliminando quella colpa che guastò irreparabilmente la nostra natura. Natura che Dio sostituirà ridandole la purezza originaria del progetto Uomo, quella purezza  che il gran peccato aveva guastato e corrotto irrimediabilmente.

5 maggio 2016

IL MOTIVO DELL’INCARNAZIONE E LA NOSTRA VITA SPIRITUALE

IL MOTIVO DELL’INCARNAZIONE E LA NOSTRA VITA SPIRITUALE

Nel giorno dell'Ascensione di Gesù al Padre, un'interessante studio sui motivi che hanno fatto "discendere" il Verbo per incarnarsi. La teologia medievale si era posta questo studio ne la scuola di S. Tommaso D'Aquino (domenicani) e la scuola del beato Duns Scoto (francescani).
Ricordo che il teologo francescano fu fondamentale per Pio IX quando dovrà proclamare il dogma di Maria concepita senza peccato originale.

Personalmente amo molto l'ipotesi del teologo francescano Duns Scoto, ma sentiamo don Curzio (che tende più al tomismo) e le sue conclusioni sulla nostra vita spirituale.


di Don Curzio Nitoglia  tratto da 
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2015/12/04/motivo-incarnazione/ 

La tesi tomista e quella scotista  

La convenienza dell’Incarnazione  


Innanzi tutto occorre precisare che l’Incarnazione non è assolutamente necessaria, perché Dio avrebbe potuto riparare le rovine del peccato di Adamo in maniera diversa.

Tuttavia ipoteticamente, ossia supposta la riparazione secondo le norme della giustizia, nessuna creatura – neppure un angelo – poteva riparare l’offesa infinita del peccato perpetuata contro Dio che è infinito.
Quindi Dio ha voluto incarnarsi, dandosi il più possibile all’uomo ferito dal peccato originale e soffrire come uomo, dando alla sua sofferenza un valore infinito in quanto Dio.
San Tommaso insegna che “Il bene tende a diffondersi, a comunicarsi e quanto è più alto l’ordine cui appartiene tanto più abbondantemente e intimamente si comunica” (S. Th., III, q. 1, a. 1).
Ora Dio è il sommo Bene infinito. Quindi è conveniente che in potenza Egli tenda a comunicarsi.
Ma, mentre nell’agente determinato o non libero la diffusione o la comunicazione attuale del bene è necessaria (per esempio il sole necessariamente illumina e scalda), nell’agente libero (Dio, l’angelo e l’uomo) la tendenza passa all’atto liberamente e non necessariamente.
 Perciò si reputa conveniente che Dio si sia comunicato liberamente in persona Filii ad una natura creata (la natura umana di Cristo) e ciò è avvenuto nell’Incarnazione del Verbo in cui il Figlio si è unito personalmente ad una natura umana.
Ciò non significa dimostrare la possibilità dell’Incarnazione poiché la sola ragione non può dimostrare né l’esistenza né la possibilità di un mistero soprannaturale, che sorpassa le forze di ogni natura creata, come dice la parola “sopra-naturale” ossia superiore alla natura.
Tuttavia la bontà e la tendenza di Dio a comunicarsi sono un motivo di convenienza o di non-impossibilità dell’Incarnazione e su questo punto non ci sono notevoli divergenze tra i teologi.

 Il fine dell’Incarnazione  

Il magistero professa solennemente che il Verbo “è sceso dal cielo e si è incarnato per noi uomini e per la nostra salute” (Credo niceno, DS 150). La S. Scrittura rivela che il Figlio è venuto nel mondo per salvare gli uomini. Già nell’Antico Testamento si legge che “il Signore verrà e vi salverà” (Is., XXXV, 4).
Nel Nuovo Testamento viene dato un nome al Verbo incarnato: Gesù che significa Salvatore, il quale indica il suo fine di Redentore: “Tu gli porrai nome Gesù, poiché è Lui che salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt., I, 21).
Inoltre l’angelo annunciò ai pastori di Betlemme la nascita di Gesù con queste parole: “Oggi è nato a voi nella città di Davide il Salvatore” (Lc., II, 11).
Simeone
ringrazia Dio per aver potuto vedere il Salvatore di tutti i popoli (Lc., II, 30).
San Paolo compendia l’opera di Cristo così: “Gesù Cristo venne al mondo per salvare i peccatori” (I Tim., I, 15); similmente il quarto Vangelo: “Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo affinché il mondo sia salvato per opera di Lui” (Gv., III, 17).
 La salvezza dell’uomo è rivelata come subordinata alla Gloria di Dio. 
Infatti Gesù stesso confessa al Padre: “Ti ho dato gloria su questa terra, compiendo l’opera (della Redenzione) che Tu Mi hai dato da compiere” (Gv., XVII, 4). Mai, in nessun luogo della S. Scrittura si dice che l’Incarnazione sarebbe avvenuta anche senza il peccato originale.

 Controversia sul motivo dell’Incarnazione  

Secondo la scuola tomista il motivo dell’Incarnazione del Verbo è la Redenzione. Quindi, nella presente economia della salvezza, se Adamo non avesse peccato il Verbo non si sarebbe incarnato. Invece per la scuola scotista il motivo dell’Incarnazione è la glorificazione di Dio. Quindi il Verbo si sarebbe incarnato anche se Adamo non avesse peccato. Tuttavia avrebbe assunto un corpo impassibile poiché non ci sarebbe stata la necessità della Redenzione dell’uomo, ma solo la glorificazione di Dio.  Secondo l’Angelico (S. Th., III, q. 1, a. 3), nel presente disegno della Provvidenza o in questo piano dell’economia della Salvezza, se Adamo non avesse peccato, il Verbo non si sarebbe incarnato, ma dopo il peccato originale il Verbo si è incarnato per offrire a Dio una soddisfazione adeguata al nostro riscatto.
La ragione teologica per cui san Tommaso insegna questa dottrina è che ciò che dipende dalla volontà di Dio e supera completamente la natura creata lo si può conoscere solo tramite la divina Rivelazione (contenuta nella Tradizione e nella S. Scrittura).
Ora nella Rivelazione la ragione dell’Incarnazione è desunta dal peccato originale. Quindi è più conveniente dire che se Adamo non avesse peccato il Verbo non si sarebbe incarnato, ma che dopo il peccato originale Egli si è incarnato per offrire a Dio una soddisfazione adeguata per salvarci.
La S. Scrittura, come abbiamo visto sopra, insegna ciò.

Nel Vangelo di S. Luca (XIX, 10) si legge: “Il Figlio dell’uomo è venuto a salvare ciò che era perso”.
 Lo stesso si legge in Mt., XVIII, 11; 1a Tim., I, 15; Gv., III, 17.
 La Tradizione è concorde su questo motivo.
Infatti S. Agostino (Sermo 174, n. 2; 175, n. 1) scrive: “Si homo non periisset, Filius hominis non venisset / se l’uomo non si fosse perduto il Figlio dell’uomo non sarebbe venuto”.
La stessa dottrina è insegnata da S. Ireneo (Adv. haereses, V, 15, n. 1) e da S. Giovanni Crisostomo (In Epist. ad Hebr., Omelia 5, n. 1 ), da S. Ambrogio (De Incarnatione dominicae sacramento, I, 6, 56), da S. Leone Magno (Enarrat. in Psalm. CXIX, 2; Sermo LXXVII de Pentecoste, III, 2), da S. Gregorio Nazianzeno (Oratio trigesima sexta, 6; Oratio trigesima octava, 5) e da S. Atanasio (Adversus Arianos, Oratio secunda, 56).

 Duns Scoto (Reportata parisiensia, III, 7, 4, n. 5) invece sostiene che se Adamo non avesse peccato, nel piano attuale della Provvidenza, il Verbo si sarebbe incarnato egualmente per manifestare la bontà divina, ma non avrebbe assunto una natura soggetta al dolore e alla morte. Tuttavia è sorprendente che in nessun passo della S. Scrittura si faccia parola della venuta di Cristo, prevista ab initio, in carne impassibili.  Certamente San Paolo rivela che l’intera creazione è ordinata a Cristo come fine (Col., I, 15-19). Tuttavia il versetti 15-17, di cui Scoto si serve come fondamento per la sua tesi, prescindono completamente dall’Incarnazione e parlano soltanto di Cristo in quanto Dio come Creatore di tutte le cose, fine della creazione e conservatore del mondo.
I tomisti (specialmente Capreolo e Tommaso de Vio) rispondono a Scoto che il fine ultimo dell’Incarnazione è la manifestazione della bontà divina tramite la Redenzione, che son due fini subordinati (l’Incarnazione alla Redenzione).
Quindi l’obiezione scotista secondo la quale il fine è superiore al mezzo (concedo) e pertanto l’Incarnazione non può essere finalizzata alla Redenzione o alla salvezza dei peccatori, non sta in piedi in quanto la Redenzione è il fine prossimo e non ultimo dell’Incarnazione.

Il Credo di Nicea insegna che il Verbo si è incarnato “propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis / per noi uomini e per la nostra salvezza”.
I Padri ecclesiastici (S. Ireneo, S. Giovanni Crisostomo, S. Agostino) hanno commentato il Credo in questo senso: “si homo non peccasset, Filius hominis non venisset / se l’uomo non avesse peccato il Verbo non sarebbe venuto su questa terra”.  Scoto sostiene che il Verbo sarebbe venuto egualmente (anche se l’uomo non avesse peccato), ma non in una natura passibile (“venisset, sed non in carne passibili”).
Se così fosse l’insegnamento comune dei Padri latini e greci, sicut litterae sonant, sarebbe erroneo (ma ciò non è possibile, infatti il consenso moralmente unanime dei Padri su questioni di fede è segno di dottrina infallibilmente certa).
In breve Dio ha permesso il peccato di Adamo per un bene superiore che è l’Incarnazione redentrice subordinata alla manifestazione della bontà divina, che da ogni male trae un bene superiore.
S. Tommaso lo insegna chiaramente: “Dio permette che avvengano i mali per tirarne un bene maggiore” (S. Th., I, q. 19, a. 3, ad 3). Capreolo lo conferma (In IIIum Sent., dist. I, q. 1, a. 3) e pure il Gaetano (In Iam, q. 22, a. 2, n. 7). La S. Scrittura lo rivela: “ove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rom., V, 20) e la Liturgia, nell’Exultet della Viglia pasquale, lo canta: “O felix culpa, quae talem ac tantum habere meruit Redemptorem ”.
Ora agli scotisti, i quali ritengono sconveniente il fatto che il peccato, odiato da Dio, sia l’occasione per l’Incarnazione che è la manifestazione più stupenda di Dio, i tomisti rispondono citando proprio l’Exultet della Viglia di Pasqua, che ci dà una prova ancora più grande dell’amore misericordioso di Dio, il quale vuol salvare anche ciò che sarebbe degno di perdizione.
Quindi è chiaro che il motivo dell’Incarnazione del Verbo è un motivo di misericordia, con cui si manifestano anche la bontà e la onnipotenza divina, come insegna la Liturgia: “Deus qui maxime parcendo et miserando omnipotentiam tuam manifestas” per cui l’ultimo fine dell’universo è la manifestazione della bontà di Dio. 
 L’ordine delle cose voluto da Dio, secondo l’Angelico, è il seguente:

  1. l’universo intero con tutte le sue parti;
  2. le sue parti fra loro coordinate: la natura, la grazia (col permettere il peccato di Adamo e la perdita della grazia) e l’Incarnazione del Figlio;
  3. la Redenzione come il fine dell’Incarnazione. 

Quindi noi uomini siamo subordinati a Cristo e Cristo come Verbo Incarnato a Dio (cfr. I Cor., III, 23). È evidente che Cristo è superiore all'umanità in quanto causa della sua Redenzione e salvezza, causa esemplare o modello di ogni santità e fine cui l’umanità è subordinata.
Perciò Dio ama Cristo più di tutto il genere umano, di tutti gli angeli e di tutto l’universo creato perché Cristo è vero Dio e quindi infinitamente superiore al creato (cfr. S. Th., I, q. 20, a. 4, ad 1).
Il fatto, poi, che la SS. Trinità ha permesso l’Incarnazione del Verbo per la salvezza dell’uomo non solo non ha diminuito per nulla la sua dignità infinita di Persona divina, anzi proprio per questo il Verbo è divenuto il Vincitore glorioso. Questa eccellenza e questa gloria vincitrice del Verbo Incarnato non si oppongono per nulla al fatto che il Figlio si è incarnato, come insegna la Rivelazione e il Magistero, per la nostra salvezza: Qui (Verbum) propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis et incarnatus est.

L’Incarnazione redentrice e la nostra vita spirituale  

Per quanto riguarda la nostra vita spirituale possiamo concludere che  

  1. il motivo dell’Incarnazione fu la Misericordia; 
  2. il Verbo incarnandosi non si è subordinato all'uomo, ma ha ristabilito l’ordine primitivo elevando di nuovo l’uomo all'ordine soprannaturale che aveva perso col peccato di Adamo; 
  3. Gesù, nella sua vita intima, è innanzi tutto Salvatore (sacerdote che offre come vittima a Dio Se stesso sulla croce e nella messa). 


Per farci santi dobbiamo imitare Gesù Cristo. Ora, in questo piano di salvezza in cui ci troviamo, Egli non è principalmente e essenzialmente (come vorrebbe Scoto) Re dei re, dottore supremo, capo del regno di Dio sulla terra. Quindi il motivo dell’Incarnazione fu la Misericordia redentrice per rialzare l’umanità decaduta dalla sua miseria. Perciò Gesù è principalmente Salvatore, sacerdote e vittima più che Re di gloria e corona del creato, e questo è il tratto più importante della sua fisionomia spirituale.  Dio ha previsto e decretato ogni cosa ab initio e se ha permesso il male del peccato adamitico lo ha fatto solo perché ne avrebbe tratto un bene maggiore: l’Incarnazione del Verbo, la Redenzione dell’umanità subordinata alla Gloria di Dio.
Il decreto o il piano divino sul mondo o l’attuale piano divino era esteso sin dal primo momento a tutto ciò che doveva accadere, in modo positivo al bene e in modo permissivo al male: “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare ciò che era perduto” (Lc., XIX, 10).  È molto consolante per noi pensare che non solo i grandi dottori, i re, i capi, ma anche i più grandi peccatori pentiti che invocano il Salvatore possono trovare la salvezza attraverso la via che il Verbo ha seguìto: la via regale della santa croce.  In tal modo Dio non si è subordinato e sottomesso in un certo qual modo all'uomo, ma Egli rimane, nonostante si sia incarnato, infinitamente superiore a tutto il creato e alla salvezza di tutti gli uomini.
L’Incarnazione è più preziosa della nostra Redenzione. Per di più Egli si è chinato sino a noi per innalzarci sino a Lui e questa è la proprietà della Misericordia: che il superiore si chini verso l’inferiore, non per subordinarsi a lui, ma per innalzarlo a Sé.
L’Incarnazione è la più alta manifestazione della Potenza di Dio e della sua Bontà.
L’Incarnazione canta la gloria di Dio più di tutto il firmamento.
Tutta la vita del Verbo Incarnato è ordinata alla sua morte in croce che piace a Dio più di quanto non gli dispiacciano tutti i peccati del mondo (cfr. S. Th., I, q. 20. a. 4, ad 1).


Da tutto ciò per noi ne segue che, nell'attuale economia della salvezza o nel piano presente della divina Provvidenza redentrice, non è secondario e accidentale portare la nostra croce appresso a Gesù (sacerdote e vittima), ma è l’elemento essenziale e principale della vita cristiana: “Chi vuol venire dietro a Me prenda ogni giorno la sua croce e Mi segua” (Lc., IX, 23).  Per essere santo e anche un grande santo non è necessario essere dottore, né apostolo o “uomo d’azione”; basta essere simili a Gesù crocifisso, come lo fu San Dismas: il buon Ladrone canonizzato da Gesù stesso: “In verità ti dico oggi stesso sarai con Me in Paradiso” (Lc., XXIII, 43). Certamente il prete per il suo ufficio deve innanzi tutto insegnare la dottrina ai fedeli, poi può santificarli dando loro i Sacramenti ed infine li conduce al Cielo facendo loro osservare le Leggi di Dio e della Chiesa, ma per esser un santo prete, personalmente, deve portare la croce ed essere come Gesù “sacerdote e vittima”.

 Ecco perché nessuna idea o movimento cristiano potrà imporsi e portar frutti se non dopo aver superato molte prove: “Se il chicco di frumento, gettato a terra, non muore, rimane com'è, ma se muore porta frutto buono e abbondante ” (Gv., XII, 24).
 “La necessità della croce è proporzionata al grado di gloria al quale Dio vuol condurci. Alcune anime che chiamiamo a torto, con un senso di compassione, ‘tormentate’, vivono in mezzo a sofferenze quasi continue perché Gesù vuole condurle molto più in alto di altre anime non tormentate e facilmente contente. Più Dio ci ama più le croci che ci manda sono pesanti ” (R. Garrigou-Lagrange, Vita spirituale, Roma, Città Nuova, 1965, p. 172, postumo).  ~

26 aprile 2016

Famiglia Francescana in festa 1 maggio 2016

Torna come ogni anno la Festa della Famiglia Francescana d'Abruzzo (OfS, Gifra, Aralini). 


Quest'anno c'incontreremo a Casalbordino, il tema della giornata sarà " .. in cammino per ... ", questo è il programma che abbiamo pensato per vivere insieme questo momento di riflessione e festa:

Ore 09:00 Accoglienza presso l'Auditorium (Via Martiri dell'11 Settembre)
Ore 10:00 Preghiera iniziale, a seguire riflessione sul tema dell’anno giubilare della Misericordia, la riflessione sarà guidata da P. Giulio Cesareo
Ore 11:30 Inizio Pellegrinaggio dall’Auditorium di Casalbordino al Santuario Madonna dei Miracoli - Passaggio della Porta Santa
Ore 13:45 Pranzo al sacco
Ore 14:30 Tempo di fraternità e spazio Penitenziale
Ore 15:45 S.S. Messa.

Contributo spese per la giornata 5€
Vi aspettiamo numerosi
Per aggiornamenti visitate la nostra pagina Facebook.

24 marzo 2016

il significato del TAU

Il significato del TAU

Il Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico.



Esso venne adoperato con valore simbolico sin dall’Antico Testamento; se ne parla già nel libro di Ezechiele: “Il Signore disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono..(Ez.9,4).
Esso è il segno che posto sulla fronte dei poveri di Israele,li salva dallo sterminio.Con questo stesso senso se ne parla anche nell'Apocalisse: “Poi vidi un altro angelo che saliva da oriente e portava il sigillo del Dio vivente, e gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era ordinato di danneggiare la terra e il mare dicendo: non danneggiate né la terra, né il mare, né piante finché non abbiamo segnato sulle loro fronti i servi del nostro Dio”(Ap7,2-3).

Il Tau è perciò segno di redenzione. E’ segno esteriore di quella novità di vita cristiana, più interiormente segnata dal Sigillo dello Spirito Santo, dato a noi in dono il giorno del Battesimo (Ef.1,13).
Il Tau fu adottato prestissimo dai cristiani. Tale segno si trova già nelle catacombe a Roma. I primi cristiani adottarono il Tau per un duplice motivo. Esso, come ultima lettera dell’alfabeto ebraico, era una profezia dell’ultimo giorno ed aveva la stessa funzione della lettera greca Omega, come appare dall’Apocalisse: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente dal fonte dell’acqua della vita... Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine” (Ap.21,6; 22,13).
Ma soprattutto i cristiani adottarono il Tau, perché la sua forma ricordava ad essi la croce, sulla quale Cristo si immolò per la salvezza del mondo.


San Francesco d’Assisi,

per questi stessi motivi, faceva riferimento di tutto al Cristo, all’Ultimo: per la somiglianza che il Tau ha con la croce, ebbe carissimo questo segno, tanto che esso occupò un posto rilevante nella sua vita come pure nei gesti. In lui il vecchio segno profetico si attualizza, si ricolora, riacquista la sua forza salvatrice ed esprime la beatitudine della povertà, elemento sostanziale della forma di vita francescana.
Era un amore che scaturiva da una appassionata venerazione per la santa croce, per l’umiltà del Cristo, oggetto continuo delle meditazioni di Francesco e per la missione del Cristo che attraverso la croce ha dato a tutti gli uomini il segno e l’espressione più grande del suo amore. IlTau era inoltre per il Santo il segno concreto della sicura salvezza, e la vittoria di Cristo sul male. Grande fu in Francesco l’amore e la fede in questo segno. “Con tale sigillo, san Francesco si firmava ogniqualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche sua lettera” (FF 980); “Con esso dava inizio alle sue azioni” (FF 1347). Il Tau era quindi il segno più caro per Francesco, il suo sigillo, il segno rivelatore di una convinzione spirituale profonda che solo nella croce di Cristo è la salvezza di ogni uomo.

Quindi il Tau, che ha alle sue spalle una solida tradizione biblico-cristiana, fu accolto da Francesco nel suo valore spirituale e il Santo se ne impossessò in maniera così intensa e totale sino a diventare lui stesso, attraverso le stimmate nella sua carne, al termine dei suoi giorni, quel Tau vivente che egli aveva così spesso contemplato, disegnato, ma soprattutto amato.
Oggi, moltissimi componenti della famiglia francescana: frati, suore, seminaristi aspiranti, francescani dell’ordine secolare, giovani devoti e ammiratori ed amici di san Francesco, portano il Tau come segno distintivo di riconoscimento della loro appartenenza alla famiglia o alla spiritualità francescana.
Il Tau non è un feticcio, né tanto meno un ninnolo qualsiasi, esso è il segno concreto di una devozione cristiana, ma soprattutto un impegno di vita nella sequela del Cristo povero e crocifisso.
Ricevere il Tau, portarlo sul proprio cuore, è l’impegno per un cammino, per una scuola di vita. Il cristiano segnato con il segno della croce al momento del suo battesimo, deve diventare, portando la croce, attraverso le immancabili sofferenze che comporta la vita, imitatore e seguace del Cristo povero e crocifisso. Quel Tau deve ricordarci una grande verità cristiana, la vita nostra associata a quella del Cristo nella croce come insostituibile mezzo di salvezza.

Il Tau è il segno di riconoscimento del cristiano,

cioè del figlio di Dio, del figlio scampato dal pericolo, del SALVATO. È un segno di potente protezione contro il male (Ez.9,6).
È un segno voluto da Dio per me, è un privilegio divino (Ap.9,4; Ap.7,1-4; Ap.14,1).
È il segno dei redenti del Signore, dei senza macchia, di coloro che si fidano di Lui, di coloro che si riconoscono figli amati e che sanno di essere preziosi per Dio (Ez.9,6).
È l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico (Sal.119 in fondo).
Ai tempi di Gesù la croce era la condanna per i malfattori, perciò simbolo di vergogna e scandalo. Ai condannati di quell’epoca veniva legato alle mani un palo dietro la schiena; arrivati sul luogo della esecuzione, venivano issati su un altro palo verticalmente conficcato nel terreno. Il TAU croce di Cristo, non è più un simbolo di vergogna e sconfitta, ma diventa simbolo di un sacrificio per mezzo del quale sono salvato.
È simbolo della dignità dei figli di Dio, perché è la Croce che ha sorretto Cristo. È un segno che mi ricorda che devo essere anch’io forte nelle prove, pronto all’obbedienza del Padre e docile nella sottomissione, come è stato Gesù davanti alla volontà del Padre.

Portare il TAU significa avere risposto il mio SI alla volontà di Dio di salvarmi, accettare la sua proposta di salvezza.