Il libro della Genesi – Primo incontro
L’esegesi distingue nella Genesi, e, più generalmente,
nell’insieme del Pentateuco, molteplici strati, la cui redazione risalirebbe a
epoche diverse e sarebbe nata in ambienti diversi:
- La tradizione "yavhista" sarebbe la più antica e risalirebbe all’epoca del grande re Salomone. I testi yavhisti sono preponderanti nella Genesi e ne costituiscono le parti fondamentali, come, per esempio, il secondo racconto della creazione (Gen 2,4) o le storie dei patriarchi.
- La tradizione "elohista" è più tardiva. Si sviluppa nel Regno del Nord, dunque dopo lo scisma del 931 a. C. Si presenta come il documento dell’alleanza fra Dio e il suo popolo. Le prime tracce elohiste appaiono nel libro della Genesi a partire dal capitolo 15 e in Giuseppe.
- La fonte "sacerdotale", che si svilupperà al tempo dell’esilio babilonese, fra il 586 e il 538 a. C., è infine alla base del primo racconto della creazione, quello dei "sette giorni".
Divisione:
I sezione: L’eziologia metastorica (Gn
1,1-11,26)
II sezione: La promessa ai padri 1) Il ciclo di Abramo (Gn 11,27-25,18)
2) Il ciclo di Giacobbe (Gn 25,19-37,1)
3) Il ciclo di Giuseppe (37,2-50,26)
Il racconto sacerdotale della creazione (1,1-2,4a)
1In principio Dio creò il cielo e la terra.
Bere’shit bara’‘elohim‘et
hashamajim we’et ha’arets
In
principio creò Dio i cieli e la terra
Bereshit in principio ci ricorda che c’è un principio nel
cuore di Dio in cui decide di creare il mondo. La Torah scrive le iniziali Be
con la Bet ingrandita per indicare la grandezza della parola! I rabbini
affermano che Dio crea per manifestare il Suo amore.
La lettera Bet (Berakhah –
Benedizione) ci dice che attraverso la benedizione si passa dalla dualità del
mondo (Bet) all’unicità di Dio (Alef = prima lettera dell’alfabeto ebraico); da
ciò che si muove ed è effimero si passa a ciò che è e non finisce.
La struttura letteraria di
1,1-2,4a è di tradizione sacerdotale in cui il 7 è il numero della pienezza e
perfezione. Il verbo br’ «creare» ritorna 7 volte (1,1.21.27 [x3]; 2,3.4a).
Questo versetto è composto di 7 parole.
‘Elohim compare in Gn 1-11 ben 35 volte (7x5)! La creazione è
un’opera liturgica che culmina nel sabato.
È un inizio assoluto? Qui non
si parla di creatio ex nihilo cioè creazione dal nulla perché poi al v.
2 dice che la terra è informe!
2La terra era informe e deserta e le tenebre
ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
È composto da 14 (7x2)
parole! In questo versetto c’è il no di Dio al caos ma il suo spirito (ruach
‘elohim) ha presieduto a tutta la creazione. La creazione è l’atto del no
di Dio al nulla.
Il
verbo merachefet planare ha diversi significati tra cui covare come se
la terra informe fosse come un uovo da riscaldare. Dio in Gn 1 non crea solo
con la Parola ma anche con lo Spirito. Rabbi Rashi afferma che lo Spirito di
Dio aleggiava, come una colomba che aleggia sopra il nido.
3-5.In Gn
1,3-31 assistiamo all’opera di Dio in sei giorni che termina col sabato.
Troviamo per la prima volta
lo schema in cinque fasi che ritmerà ogni giorno dell’esamerone (6 giorni della
creazione): 1) Dio comanda, 2) chiama all’essere e con la Sua Parola conferma,
3) riconosce, 4) dà il nome, 5) benedice. La parola di Dio appare potente ed
efficace fino a diventare evento (dabar): è la teologia mirabilmente
espressa in Is 55,10-11.
Dio disse wajj’omer
‘elohim ricorre 10 volte (Gen
1,3.6.9.11.14.20.24.26.28.29). La tradizione rabbinica commenterà: «Il mondo è
stato creato con dieci parole» (Pirqe Abot V,1). Siamo di fronte a sette giorni
in cui risuonano dieci parole di Dio. C’è il richiamo alle 10 parole o
comandamenti. 10 parole furono pronunciate da Dio al Sinai stipulando
un’alleanza con il popolo di Israele, 10 parole sono state pronunciate durante
la creazione stipulando così l’alleanza con tutta l’umanità. La creazione è
dunque già evento rivelativo e salvifico.
La luce è la prima creatura
perché scandisce il tempo ovvero il giorno dalla notte.
Dio vide. Il vedere di Dio è già un giudizio e una lode:
bellezza estetica e bontà etica (tob) si fondono nello sguardo amorevole
di Dio. La creazione non è solo atto di potenza, di vittoria e di successo (il
prevalere della luce sulle tenebre), ma anche di armonia e di bellezza, è opera
artistica. L’autore utilizza 7 volte la parola tob mentre le opere sono
8.
Il primo giorno è detto in
ebraico «giorno uno» (yom ‘ehad).
6-8.Siamo al
secondo giorno e alla creazione del firmamento che ha la funzione di separare
le acque superiori da quelle inferiori. La cosmologia immaginava il firmamento
come una volta che sorreggeva le acque e poggiava su delle colonne (Gb
26,11).Diversi Padri della Chiesa e rabbini si chiedevano perché nel secondo
giorno Dio non afferma la bontà (tob) dell’opera creata. Per alcuni
rabbini perché l’opera non era stata completata. Questo ci insegna che se una
persona inizia a fare qualcosa di buono, deve impegnarsi a condurla a termine.
9-13. Il
terzo giorno contiene due opere: la separazione della terra asciutta dalle
acque e la produzione dei vegetali. Il mare nel mondo semitico era divinizzato
ed elevato a rango di Potenza, è restituito al suo status di creatura, è
limitato nella sua forza straripante, sottomosso al potere di Dio che è signore
delle acque (cfr. Gen 31,35; Is 51,15).
14-19. Il
quarto giorno è strettamente collegato con il primo e il settimo giorno. È
interessante che l’autore sacro in poche righe demitizza gli astri, il sole e
la luna (che non nomina) quando per le culture vicine sono dei da adorare.
Il verbo separare (badal)
è tipico del documento e della teologia sacerdotale dove indica la separazione
di Israele dalle genti (Lv 20,24.26), dei leviti in mezzo ad Israele (Lv
11,47), del sacro dal profano (Lv 10,10), del Santo dal Santo dei Santi (Es 26,33)…
Una separazione finalizzata alla santità e alla comunione piena col Signore (Nm
8,14).
15-23. Nel
quinto giorno abbiamo la novità della benedizione degli animali. Essi hanno un
posto particolare all’interno del creato.
24-31. Come
nel terzo giorno Dio aveva compiuto due opere, così nel sesto che, secondo la
divisione dell’esamerone in immobili e mobili, gli corrisponde, avvengono due
opere: la creazione degli animali terrestri (vv.24-25) e la creazione dell’uomo
(vv.26-31).
- vv. 24-25. La creazione
secondo il documento sacerdotale è ordinata e classificata: prima il bestiame
domestico, poi i rettili e infine gli animali selvatici. È interessante
osservare che Dio crea sia gli animali puri che impuri. Non fa una distinzione
che avverrà in Levitico.
- vv. 26-31. C’è un legame
profondo tra gli animali terrestri e l’uomo, visto che tutte e due sono creati
il sesto giorno!
Facciamo
… nostra … nostra…: questi plurali
hanno imbarazzato l’esegesi rabbinica. Non può essere un plurale di maestà
perché non conosciuto dall’ebraico, forse un residuo della mentalità politeista
oppure Dio parla agli angeli (secondo i rabbini)? La tradizione cristiana dei
primi secoli vi hanno visto un dialogo tra Dio e il Figlio e vi ha visto una
teologia trinitaria. Ma un ultima interpretazione è che Dio parla con l’uomo: è
come se Dio si consigliasse con l’uomo perché l’uomo è un essere in divenire!
Meglio
tradurre umanità che uomo perché Adam è un nome collettivo
e non proprio!
…
a nostra immagine, come nostra somiglianza: l’uomo è l’unico essere fatto a immagine e somiglianza di Dio! Creando
l’uomo simile a sé ha voluto un essere a cui si potesse rivolgere con il “tu”! Tutta la Bibbia racconta questa storia tra la libertà dell’uomo e quella di Dio
che è storia di salvezza! Quindi la relazione con Dio non è un valore aggiunto
ma è costitutivo del suo esserci e perciò del suo essere.
…
domini…: all’uomo è concesso il
dominio sulle creature ma non si tratta di uno spadroneggiare o di un abusare.
Possiamo affermare che Dio è nel mondo là dove c’è l’uomo! I verbi ebraici per
indicare “dominare” sono utilizzati nella Bibbia in riferimento al re (cfr. Nm
24,19; 1Re 5,4; Sal 72,8 ecc.). L’uomo è re per tutto il creato.
…
creò … creò … creò …: la triplice
ripetizione del verbo barà sta a significare che la creazione è arrivata
al suo apice anche se la pienezza è al settimo giorno.
…
maschio e femmina…: In questo
versetto c’è la valorizzazione immensa del rapporto uomo e donna e della sua completezza;
l’unità tra i due non si trova tra loro ma in Dio! La sessualità non è idolatrata
ma neanche l’opposto cioè la fobia di essa. La coppia umana è veramente feconda
se acconsente a vivere la reciproca differenza e alterità. Questo è il senso
della successione dei vv.26-28: differenza sessuale – benedizione –
fecondità.
Solo dell’uomo dice che “era cosa molto buona”
e si chiude il sesto giorno!
2,1-4a.Dio
benedice la terza volta, dopo gli animali e l’uomo ora anche il sabato! Il
verbo kalah (= finire, terminare, portare a compimento) insinua anche
che nel sabato sta inscritta la finitezza del creato: il mondo ha una fine, la
creazione ha un limite.
Il verbo shabat qui
impiegato non significa “riposare” ma “arrestarsi”, “astenersi”: creare significa
anche cessare di creare. Il sabato è il tempo per rimettere gratuitamente in
circolazione, a favore degli altri, quanto si è ricevuto dalla gratuità di Dio.
Sospendendo
il tempo come tempo della produzione (per lavorare) e della fruizione (per soddisfare
i bisogni), il sabato lo reinstaura come tempo dell’accoglienza,
dell’ospitalità, della fraternità, della solidarietà e del perdono: come tempo
delle “opere di misericordia” attraverso le quali nel mondo entra l’amore di
Dio e si realizza il suo regno. (C. Di Sante)
La settimana creazionale
esprime i due movimenti tipici del documento sacerdotale: movimento di
espansione (Dio benedice) e movimento di separazione (Dio santifica o
consacra). Nel culto la temporalità dell’uomo si dilata su Dio. Il sabato è «lo
spirito sotto forma di tempo» (A.J. Heschel). L’uomo non scopre il senso del
suo essere-tempo nell’attivismo; l’homo faber redime il limite della
temporalità, partecipando al riposo di Dio con la sua dimensione di homo
religiosus. Il senso della temporalità umana è la comunione con Dio, è il
“settimo giorno di Dio”. La storia va verso Dio. Il settimo giorno, con la
festa del sabato Dio si riposa. La creazione secondo il documento sacerdotale è
un’opera liturgica (ebdomadaria cioè di sette giorni!) che culmina col giorno
del Signore per eccellenza.
La creazione secondo la fonte jahvista(Gen 2,4b-24)
Gen 1 è teocentrico invece
Gen 2 è antropocentrico.
a) La creazione dell’uomo
4b-7. Nei
primi versetti c’è il racconto della creazione in poche righe, passando subito
all’uomo! Perché secondo il documento jahwista l’uomo è il compimento della
creazione.
Dio plasma (yṣr) l’uomo come
un vasaio lavora l’argilla (vedi anche Gb 4,19; 10,9; Sal 119,73; Is 29,16). L’uomo
è posto in stretto rapporto con la terra: egli è ‘adam perché tratto
dalla ‘adamah, è cioè il terrestre, perché tratto dalla terra, quindi
fragile. La vita dipende dal soffio di Dio e se Dio lo ritira, l’uomo torna
alla polvere.
b) Il giardino e il comando
(Gen 2,8,17)
8-17.Con
un’immagine antropomorfica Dio pone l’uomoin un giardino che egli stesso ha
piantato.Il giardino ha come prima funzione di essere “il luogo dei due
alberi”, l’albero della vita e quello del bene e del male. Il simbolo dell’albero
è tipico della tradizione sapienziale (Sir 24; Ez 17; 31; 47,12). La conoscenza
del bene e del male è tipico sapienziale (cfr.Sir 39,4).
La tradizione rabbinica e
patristica ha identificato così i quattro fiumi: Pichon (Gange), Ghicon (Nilo),
Chiddeqel (Tigri) e Perat (Eufrate). Corrisponde per un ebreo ai 4 punti
cardinali!
Nel v. 15 è sottolineato la
seconda funzione del giardino cioè “luogo del lavoro dell’uomo”. Nella
creazione dopo il rapporto con Dio, l’uomo ha il rapporto col mondo e col lavoro.
C’è una demitizzazione del lavoro che porta alla responsabilizzazione dell’uomo
stesso.
La terza funzione del
giardino è quello di essere “luogo in cui si vive la risposta al comandamento”
(cfr. vv. 16-17). In questi due versetti è presente la dialettica dell’Alleanza
cioè al dono del giardino, l’uomo è chiamato a rispondere rispettando il
comandamento. Il divieto è misura di protezione per l’uomo da se stesso e per
la creazione dall’uomo.
18-25.Dio
rivela uno stato di negatività nello stare da solo dell’uomo. L’uomo diventa
uomo, si umanizza nella misura in cui conosce e vive l’alterità, la dualità.
Si pone il problema della
traduzione di cezer kenegdo, letteralmente: “aiuto come
davanti a lui”. I LXX tradussero in Gen 2,18: “aiuto di fronte a lui” e in Gen
2,20: “aiuto simile a lui”. C’è un’altra traduzione possibile nella tradizione
ebraica: “aiuto contro di lui”. Dice Gen. Rabbah: “se l’uomo lo merita essa è
un aiuto, se no essa è contro di lui”. Rashi così commenta: “Se l’uomo ne sarà
degno, la donna sarà per lui un aiuto; se non ne sarà degno, ella sarà contro
di lui per combatterlo”.L’uomo non trova alcun corrispondente, alcun partner
adeguato, non trova un “aiuto per lui contro di lui”. Ha bisogno
dell’alterità. A questo punto Dio separa per unire, separa in vista di una
comunione e crea la donna dal lato (tselac) dell’uomo (Gen
2,22). La donna è tratta dall’uomo, uguale a lui: è la ‘ishshah tratta
dall’’ish.
Dio crea la donna facendo
scendere un torpore (tardēmȃ) che ricorda il sonno di Abramo (Gen
15,12), di Elifaz (Gb 4,13), di Saul (1 Sam 26,12) o di Gerusalemme (Is 29,10):
è il sonno che vieta all’uomo di vedere in azione il Creatore.
L’uomo parla per la prima
volta quando ha davanti a sé l’altro. Il grido di esultanza è scandito, in ebraico,
da tre “questa…”, un pronome molto più forte che le nostre lingue, e comprende:
1) la formula di parentale («osso dalle mie ossa…»: cfr. Gn 29,14; Gdc 9,2s;
2Sam 5,1; 19,13s); 2) il nome: l’omofoni tra ‘ishshah e’ish esprime
la pari dignità di uomo e donna.
Col v. 24 cambia attore, c’è
un narratore che racconta! I due verbi utilizzati, abbandonare (‘zb) e
unirsi (dbq bc) indica il movimento dell’uomo adulto che si
distacca dalla sua famiglia per formare una nuova coppia. Questo versetto
afferma che il legame fra marito e moglie è più forte del rapporto tra genitori
e figlio. La capacità di sposarsi sta in questo saper abbandonare! L’uomo ha il
diritto-dovere di lasciare la propria madre, perché la donna è uscita dall’uomo
come l’uomo è uscito dalla propria madre.
Il v. 25 parla della nudità e
come non provavano vergogna. Nella Bibbia essere vestiti o scoprirsi nudi vuol
dire fare i conti con la propria vulnerabilità, con la debolezza, con
situazioni di creature limitate e deboli (cfr. Gb 1,21). Essere vestiti era
simbolo di dignità umana e sociale, di potere “regale” da esercitare, di
riconoscimento di un posto da ricoprire. Che non si vergognano vuol dire che
accettano la loro creaturalità e la loro debolezza.
fra Fabrizio De Lellis
fra Fabrizio De Lellis
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