27 gennaio 2015

Nella giornata della memoria, ricordiamo Eugenio Zolli. Rabbino capo di Roma convertito al cattolicesimo.

Nella giornata della memoria, ricordiamo Eugenio Zolli.

Rabbino capo di Roma convertito al cattolicesimo.

Eugenio Pio Zolli nato Israel Anton Zoller (Brody17 settembre 1881 – Roma2 marzo 1956


tratto da Santi e Beati 

Si chiamava Israel e con un nome così poteva essere soltanto ebreo. Anzi era nato da una famiglia rabbinica dove si pensava a fare di lui un rabbino. Ma il ragazzino intelligente e sveglio, nato a Brodj, in Galizia, un giorno, in casa di un compagno di scuola cattolico, vide il Crocifisso appeso alla parete e domandò: «Chi è quello?». Gli fu risposto: «È Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio morto per noi!».
Israel Zolli – questo il suo nome e cognome – non lo dimenticò più e prese ad assillarlo la domanda più impellente: «Perché gli ebrei lo crocifissero? Era forse un criminale? E se fosse stato il vero Messia?». Iniziò a leggere con vivo interesse il Vangelo datogli da amici cattolici, rimanendone assai toccato dentro.
Quando più tardi, leggendo il libro di Isaia, si incontrò con la figura del “Servo sofferente di Jahwè”, descritto come l’Uomo più innocente, eppure percosso e umiliato, tormentato fino alla morte a causa dei peccati altrui, Israel si interrogò: “Il Crocifisso in cui credono i cristiani non è forse questo Servo di Jahwè?”. Era l’inizio di un lungo cammino, al cui termine il divino Crocifisso avrebbe vinto nella sua anima aperta alla luce.

L’Europa era ancora in preda alle battaglie finali della Seconda Guerra Mondiale, praticamente terminata in Occidente verso l’11 maggio 1945, con la capitolazione delle ultime forze tedesche, quando il 14 febbraio 1945 le Agenzie di stampa, fra le tante notizie belliche del momento, fecero sapere che il 13 febbraio il professore Israel Zolli, Gran Rabbino di Roma, si era convertito al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo.
Fu una notizia stupefacente, che riempì di meraviglia l’Europa e l’America, suscitando alternativamente, incredulità, sdegno, commozione, odio; e da allora si scatenò per mesi e mesi, una ricerca delle cause che potessero aver prodotto tale mutamento, in uno dei più autorevoli rabbini del tempo.



Origini, formazione ebraica, incontro con Cristo

Israel Zoller, era nato il 17 settembre 1881 a Brodj in Galizia, regione che dal 1923 faceva parte della Polonia, era figlio di un ebreo polacco e la madre era di famiglia rabbinica da più di quattro secoli e come tale desiderava che uno dei suoi figli diventasse rabbino (ministro del culto ebraico).
Israel crebbe perciò studiando a fondo la Legge di Mosè ed i Profeti, per rendere la sua vita conforme a questi insegnamenti.
Era ancora un ragazzo, quando in casa di un compagno cattolico, vide un crocifisso appeso alla parete e domandò: “Chi è quello?” e come risposta gli fu detto: “È Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio morto per noi!”.
Israel rimase colpito, e da allora cominciò ad interrogarsi “Perché gli Ebrei lo crocifissero? Era forse un criminale?”, iniziando nel contempo a leggere il Vangelo donatogli da amici cristiani, rimanendone fortemente impressionato.
In seguito, leggendo e studiando il Libro di Isaia, venne a conoscere la figura del “Servo sofferente di Jahvè”, descritto da un anonimo chiamato dagli studiosi “Secondo Isaia”, e celebrato in quattro canti, nei capitoli 42-49 e 50-53.
In particolare nel capitolo 53 il ‘Servo del Signore’ è descritto come l’Uomo più innocente, eppure percosso e umiliato, tormentato fino alla morte, a causa dei peccati degli altri: “…Eppure, egli si è fatto carico delle nostre infermità e si è addossato i nostri dolori. Noi lo abbiamo ritenuto un castigato, un percosso da Dio e umiliato. Ma egli è stato trafitto a causa dei nostri peccati, schiacciato a causa delle nostre colpe. Il castigo che ci rende la pace si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe noi siamo stati guariti…”.
Israel Zoller si interrogò: “Il Crocifisso in cui credono i cristiani, non è forse questo ‘Servo di Jahvè?” e l’inquietudine che lo pervase lo accompagnò nel suo lungo cammino in cerca della verità.
Frequentò prima l’Università di Vienna, poi quella di Firenze, dove conseguì la laurea in filosofia; studiando nel contempo anche nel Collegio Rabbinico.
Rabbino a Trieste
A 30 anni nel 1911, fu nominato vice-rabbino di Trieste; il suo ministero ebraico, non gli impedì di proseguire nelle sue meditazioni e riflessioni sul Libro di Isaia prima citato, tutte le ipotesi cadevano man mano e una sola rimaneva valida.
Il rabbino Zolli raccontò. “Era un pomeriggio d’estate del terribile 1917, quando la penna mi cadde dalla mano… e dal fondo proruppe un grido di angoscia. Era l’anima che gridava: “Cristo, salvami!”, aveva compreso, il ‘Servo di Jahvé’ è solo Gesù Crocifisso e poi risorto.
Nel 1920 Israel Zoller fu nominato Rabbino Capo di Trieste; qui sposò Emma Majonica dalla quale ebbe una figlia, Myriam, e sia l’una che l’altra, parteciperanno poi al suo travaglio in cerca della Verità.
Nel 1933, prese la cittadinanza italiana, cambiando il cognome Zoller in Zolli; gli fu data la Cattedra di Lingua e Letteratura ebraica all’Università di Padova, ma ormai anche in Italia, come già in Germania, Polonia, Austria, si era scatenato l’antisemitismo e a causa delle famigerate leggi razziali fu costretto a lasciare l’insegnamento.


Gran Rabbino a Roma – Le sofferenze della Comunità con i tedeschi

Ma il Signore lo conduceva per mano, pur in tempi tanto difficili, soprattutto per gli ebrei europei, e nel 1940 anno dell’entrata in guerra dell’Italia, Israel Zolli diventò Gran Rabbino a Roma, cioè della più antica comunità ebraica occidentale.
Gli ebrei erano più o meno apertamente perseguitati e la vita della comunità era difficile e sofferta, il Rabbino cominciò con il mettere tutti in guardia per quello che stava per accadere, ma non sempre fu creduto; finché l’8 settembre 1943 la situazione scaturita dall’armistizio di Badoglio con gli Alleati, precipitò con l’occupazione di Roma da parte dei tedeschi di Hitler.
Iniziò per Israel Zolli la fase più cruciale della sua vita, che sfocerà nella conversione e nel riconoscimento di Cristo, Figlio di Dio; mentre il Gran Rabbino di Roma era cercato a morte, gli ebrei della comunità furono destinati alla deportazione, verso i famigerati campi di sterminio, allestiti in Germania e Polonia.
Il 27 settembre 1943, il colonnello delle SS Herbert Kappler, capo dei servizi di polizia a Roma occupata, pretese dalla Comunità ebraica, entro 24 ore la consegna di 50 kg d’oro, minacciandoli in caso di inadempienza, della deportazione verso la Germania.
Gli ebrei romani racimolarono tutto quello che potevano, ma a fine giornata mancavano ancora 15 kg d’oro; allora il Rabbino Zolli si recò da papa Pio XII per chiedere il suo aiuto; il pontefice, tanto accusato in seguito di non aver condannato la persecuzione degli ebrei, diede disposizione che gli fosse dato quanto richiesto.
Ma la richiesta tedesca era solo un modo di depredarli, perché comunque gli ordini dei vertici nazisti erano perentori, infatti pur avendo ricevuto i 50 kg d’oro, la notte fra il 15 e il 16 ottobre 1943, duemila ebrei romani furono rastrellati e deportati, la casa del rabbino fu saccheggiata.
La sorte dei milioni di Ebrei vittime dell’Olocausto è nota a tutti, ma in questa scheda dobbiamo solo parlare del Rabbino Capo di Roma Israel Zolli, che fortunosamente scampò al rastrellamento, continuando a vivere precariamente nella dispersa comunità.



La riconoscenza a papa Pio XII – Il cammino della sua conversione

All’arrivo delle Forze Alleate a Roma, il 4 giugno 1944, Israel Zolli riprese il posto di Gran Rabbino e nel successivo luglio celebrò una solenne cerimonia nella Sinagoga, che fu radiotrasmessa., per esprimere pubblicamente la riconoscenza della Comunità ebraica a Pio XII, per l’aiuto dato loro durante la vergognosa persecuzione nazista.
Inoltre il 25 luglio 1944 si recò in udienza in Vaticano, per ringraziare ufficialmente il papa per quanto egli, personalmente o attraverso i cattolici, aveva fatto in favore degli ebrei, ospitandoli o nascondendoli in conventi e monasteri, per sottrarli all’odio razzista delle SS naziste; diminuendo così il numero già immenso di vittime.
Ma ormai era arrivato il tempo del gran passo; il 15 agosto 1944 festa dell’Assunzione della Vergine, si recò da padre Paolo Dezza gesuita dell’Università Gregoriana e gli disse. “Domando l’acqua del Battesimo e null’altro” e in una successiva intervista spiegò: “Quando ho visto la mia anima che traboccava di Cristianesimo, pur conservando infinita carità per le sofferenze del mio popolo, mi sono convinto che sarebbe stato disonesto proseguire per una via che non era più la mia”.
Nel mese di settembre 1944, celebrò per l’ultima volta la festa dell’Espiazione nella Sinagoga romana, poi si dimise dalla carica di Gran Rabbino; la Comunità ebraica non sapeva il motivo di quel ritirarsi e gli fu così proposto l’incarico di direttore del Collegio Rabbinico, ma egli rifiutò.
Come già detto all’inizio, il 13 febbraio 1945 ricevé il Battesimo nella Cappella annessa alla sacrestia della Chiesa di S. Maria degli Angeli a Roma, per le mani di mons. Traglia, Vicegerente di Roma, prendendo il nome di Eugenio Pio, come riconoscenza a papa Pio XII (Eugenio Pacelli); la moglie Emma aggiunse al suo il nome di Maria in onore della Madonna, mentre la figlia Myriam per prepararsi meglio, volle attendere ancora un anno, prima di ricevere il Battesimo.
La domenica successiva, i coniugi convertiti, Eugenio Pio Zolli ed Emma Maria Majonica, ricevettero la Cresima e la Prima Comunione.
Le critiche subite, le sue affermazioni in difesa della scelta fatta
La notizia si diffuse nel mondo e l’ex Gran Rabbino non ebbe più pace; il settimanale ebraico uscì stampato listato a lutto; si rifugiò per qualche tempo alla “Gregoriana”; fu contattato da ebrei americani, che volevano offrirgli un’ingente somma di denaro purché ritornasse all'ebraismo, che Eugenio Zolli rifiutò decisamente.
Anche i protestanti gli si rivolgevano, affinché mostrasse con la sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture, che il primato del Papa non aveva fondamento nei Vangeli; ma egli rispose difendendo il primato petrino con grande competenza.
Agli ebrei che lo accusavano di essere un serpente covato nell’antica comunità israelitica, egli rispose: “Il mio Dio si è rivelato al mondo, dopo Mosè e i Profeti, in Gesù Cristo. Io sento per Gesù un amore ardente, fiammeggiante e per amore di Gesù Cristo ho rinunciato a tutto… Nulla chiesi e nulla ebbi da voi. Vi amo tuttora nel nome del Signore”.
Quindici giorni dopo, il 4 marzo 1945 si recò in udienza da papa Pacelli per esternargli la sua devozione, come nuovo figlio della Chiesa Cattolica. Anziano, sofferente e povero, era comunque felice e prese a vivere una fervente vita cristiana, nella incrollabile certezza della verità del Cattolicesimo.
Assisteva ogni mattina alla celebrazione della Santa Messa con la Comunione Eucaristica, seguita da prolungata preghiera, diceva: “Si sta bene in cappella con il Signore, che non vorrei mai uscirne”.
Continuava lo studio della Sacra Scrittura ed in ogni rigo vedeva Gesù Cristo; spesso ripeteva: “Voi che siete nati nella religione cattolica, non vi rendete conto della fortuna che avete avuto di ricevere fin dall’infanzia la fede e la grazia di Cristo; ma chi come me, è arrivato alla fede dopo un lungo travaglio di anni, apprezza la grandezza del dono della fede e sente tutta la gioia di essere cristiano”.



Apostolo del Cristianesimo – Difensore del papa

Si sistemò in un appartamento distante dalla Sinagoga e cadute le leggi razziali, poté accedere di nuovo alla docenza universitaria; intraprendendo un efficace lavoro apostolico, anche verso i suoi antichi correligionari ebrei, per attirare verso Cristo i più ben disposti.
Non mancò lavoro letterario in cui egli non esponesse le virtù pacifiche e caritatevoli di papa Pio XII (Pastore Angelico), in effetti Eugenio Pio Zolli, divenne il più strenuo difensore e assertore dell’opera del papa a favore del suo popolo perseguitato.
Non mancarono nel mondo le ipotesi che il suo convertirsi fosse conseguenza della riconoscenza nutrita verso Pio XII, e lui sempre a confermare che il percorso fatto verso la Chiesa Cattolica, era maturato nei decenni precedenti, con lo studio delle Scritture e con la meditazione dei semitismi avvertibili nei Libri del Nuovo Testamento, e poi con la ricerca prorompente di Gesù, Figlio di Dio.
Nonostante ciò, volle comunque ribadire: “Io non ho esitato a dare una risposta negativa alla domanda se mi fossi convertito per gratitudine a Pio XII, per i suoi innumerevoli atti di carità.
Ciò nonostante, sento il dovere di rendergli omaggio e di affermare che la carità del Vangelo fu la luce che mostrò la via al mio cuore vecchio e stanco. È quella carità che tanto spesso brilla nella storia della Chiesa e che rifulge nell’opera del Pontefice regnante”.
Nel 1945 pubblicò presso l’AVE di Roma il libro “Antisemitismo”, nel 1946 sempre per l’AVE, pubblicò il suo capolavoro “Christus” che come diceva lui, era stato scritto più con le lacrime che con inchiostro; “Gesù Cristo soltanto ci può condurre in alto. Rivolgersi a Gesù significa ascendere. Gesù è la via e la guida più sublime. Gesù mio, ti amo. Sono beato di essere tuo. Voglio esserlo sempre di più, adesso e nell’ora della morte”.
Fra i cattolici, fu conferenziere stimato e ricercato, non solo a Roma, come ai corsi tenuti all’Oratorio Filippino della Vallicella; ad Assisi partecipò nell’agosto 1946, al Corso Cristologico promosso dalla “Pro Civitate Christiana”, svolgendo il tema: “La Carità di Cristo nel cuore di Pio XII”; nel 1953 andò all’Università “Notre Dame” di Indiana negli Stati Uniti, dove tenne una serie di conferenze e qui pubblicò “Before the dawn” (Prima dell’aurora) dove ribadiva che la conversione consiste nel rispondere alla chiamata di Dio e che quando arriva si può fare solo una cosa, obbedire!
Continuò a scrivere su diverse riviste e ancora pubblicò altri libri, fra cui “Da Eva a Maria” (1953), in cui esprimeva il suo grande amore per la Madonna, alla quale affidava sé stesso e il suo popolo; fu strenuo difensore negli ambienti protestanti del primato di Pietro.
Il grande studioso delle Sacre Scritture, che un giorno aveva detto sulla profezia di Isaia: “O il Servo di Jahvé è Colui che la Chiesa Cattolica ha riconosciuto e onorato fin da principio e riconosce tuttora come Figlio di Dio, o tutto è un caos e cadono tutte le Scritture”. Si spense serenamente a Roma il 2 marzo 1956 a 75 anni, nello stesso giorno dell’80° compleanno del suo grande amico papa Pio XII.

Autore: Antonio Borrelli

DIO NON C'È... dicono in molti.

DIO NON C'È ... ma sei proprio SICURO SICURO? 




La medesima Santa Madre Chiesa professa ed insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza al lume naturale della ragione umana attraverso le cose create; infatti, le cose invisibili di Lui vengono conosciute dall’intelligenza della creatura umana attraverso le cose che furono fatte (Rm 1,20). Tuttavia piacque alla Sua bontà e alla Sua sapienza rivelare se stesso e i decreti della Sua volontà al genere umano attraverso un’altra via, la soprannaturale, secondo il detto dell’Apostolo: “Dio, che molte volte e in vari modi parlò un tempo ai padri attraverso i Profeti, recentemente, in codesti giorni, ha parlato a noi attraverso il Figlio” (Eb 1,1-2).

 (COSTITUZIONE DOGMATICA DEI FILIUS* DEL SOMMO PONTEFICE PIO IX )

Perché Dio si è fatto uomo?

Perchè Dio si è fatto uomo?
Come ci ha redenti?

Partendo dalla lettera di S. Paolo ai Colossesi, una riflessione, dal magistero di Benedetto XVI.


ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo la redenzione,
il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di Lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
(S. Paolo ai Colossesi 1,12-20)



"Cristo ripropone in mezzo a noi in modo visibile il "Dio invisibile". In Lui vediamo il volto di Dio, attraverso la comune natura che li unisce. Cristo per questa sua altissima dignità precede "tutte le cose" non solo a causa della sua eternità, ma anche e soprattutto con la sua opera creatrice e provvidente: "per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili... e tutte sussistono in lui" (vv. 16-17). Anzi, esse sono state create anche "in vista di lui" (v. 16). E così san Paolo ci indica una verità molto importante: la storia ha una meta, ha una direzione. La storia va verso l'umanità unita in Cristo, va così verso l'uomo perfetto, verso l'umanesimo perfetto. Con altre parole san Paolo ci dice: sì, c'è progresso nella storia. C'è - se vogliamo - una evoluzione della storia. Progresso è tutto ciò che ci avvicina a Cristo e ci avvicina così all'umanità unita, al vero umanesimo. E così, dentro queste indicazioni, si nasconde anche un imperativo per noi: lavorare per il progresso, cosa che vogliamo tutti. Possiamo farlo lavorando per l'avvicinamento degli uomini a Cristo; possiamo farlo conformandoci personalmente a Cristo, andando così nella linea del vero progresso".


"A questo mistero grandioso della redenzione dedichiamo ora uno sguardo contemplativo e lo facciamo con le parole di san Proclo di Costantinopoli, morto nel 446. Egli nella sua Prima omelia sulla Madre di Dio Maria ripropone il mistero della Redenzione come conseguenza dell'Incarnazione.
Dio, infatti, ricorda il Vescovo, si è fatto uomo per salvarci e così strapparci dal potere delle tenebre e ricondurci nel regno del Figlio diletto, come ricorda questo inno della Lettera ai Colossesi. 
Siamo, quindi, davanti all'opera di Dio, che ha compiuto la Redenzione proprio perché anche uomo. Egli è contemporaneamente il Figlio di Dio, salvatore ma è anche nostro fratello ed è con questa prossimità che Egli effonde in noi il dono divino".
"Chi ci ha redento non è un puro uomo - osserva Proclo -: tutto il genere umano infatti era asservito al peccato; ma neppure era un Dio privo di natura umana: aveva infatti un corpo. Che, se non si fosse rivestito di me, non m'avrebbe salvato. Apparso nel seno della Vergine, Egli si vestì del condannato. Lì avvenne il tremendo commercio, diede lo spirito, prese la carne" (8: Testi mariani del primo millennio, I, Roma 1988, p. 561).

tratto dall'Udienza Generale del 4 gennaio 2006. Benedetto XVI
(intero)

8 gennaio 2015

La croce e la medaglia di San Benedetto

La croce e la medaglia di San Benedetto


































Le origini della medaglia di San Benedet­to (Norcia 2 marzo 480 - 21 marzo 547 Montecassino) monaco fondatore dei Benedettini.


 Papa Benedetto XIV ne ideò il disegno e col "Breve" del 1742 approvò la medaglia concedendo delle indulgenze a coloro che la portano con fede. Sul diritto della medaglia, San Benedetto tiene nella mano destra una croce elevata verso il cielo e nella sinistra il libro aperto della santa Regola. Sull 'altare è posto un calice dal quale esce una serpe per ricordare un episodio accaduto a San Benedetto: il Santo, con un segno di croce, avrebbe frantumato la coppa contenente il vino avvelenato datogli da monaci attentatori. 
Attorno alla medaglia, sono coniate queste parole: "EIUS IN OBITU NOSTRO PRESENTIA MUNIAMUR" (Possiamo essere protetti dalla sua presenza nell'ora della nostra morte). 
Sul rovescio della medaglia, figura la croce di San Benedetto e le iniziali dei testi. Questi versi sono antichissimi. Essi appaiono in un manoscritto del XIV sec. a testimonianza della fede nella potenza di Dio e di San Benedetto. 

Popolarità della medaglia o Croce di San Benedetto

Divenne popolare intorno al 1050, dopo la guarigione miracolosa del giovane Brunone, figlio del conte Ugo di Eginsheim in Alsazia. Brunone, secondo alcuni, fu guarito da una grave infermità', dopo che gli fu offerta la medaglia di San Benedetto. Dopo la guarigione, divenne monaco benedettino e poi papa: san Leone IX, morto nel 1054. Tra i propagatori bisogna annoverare anche san Vincenzo de' Paoli.

Efficacia secondo l'esperienza dei fedeli  

I fedeli hanno sperimentato la sua potente efficacia mediante l'intercessione di S. Benedetto, nei seguenti casi:
  • contro i malefici e le altre opere diaboliche
  •  per allontanare da qualche luogo gli uomini male intenzionati
  • per curare e sanare gli animali dalla peste oppure oppressi dal maleficio
  • per tutelare le persone dalle tentazioni, dalle illusioni e vessazioni del demonio specie quelle contro la castità
  • per ottenere la conversione di qualche peccatore, particolarmente quando si trova in pericolo di morte
  • per distruggere o rendere inefficace il veleno
  • per allontanare la pestilenza
  • per restituire la salute a quelli che soffrono di calcolosi, di dolori ai fianchi, di emorragie, di emottisi; a quanti sono morsi da animali contagiosi
  • per ottenere l’aiuto divino alle mamme in attesa onde evitare l aborto
  • per salvare dai fulmini e dalle tempeste 



SPIEGAZIONE DELLE INIZIALI

C.S.P.B.
Crux Sancti Patris Benedicti
La Croce del Santo Padre Benedetto

C.S.S.M.L.
Crux Sacra Sit Mihi Lux
La Croce Santa sia la mia luce.

N.D.S.M.D.
Non Drago Sit Mihi Dux
Non sia il demonio il mio condottiero

V.R.S.
Vade Retro, Satana!
Allontanati, Sanata!

N.S.M.V.
Numquam Suade Mihi Vana
Non mi attirare alle  vanità 
   
S.M.Q.L.
Sunt Mala Quae Libas
Son mali le tue bevande

I.V.B.
Ipse Venena Bibas
Bevi tu stesso i tuoi veleni.