1 giugno 2014

CHIESA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI - CHIETI



CHIESA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI - CHIETI

VICENDE STORICHE



Originariamente dedicata a San Lorenzo Martire, San Francesco è una delle chiese più antiche di Chieti; considerata la posizione preminente, in asse con la torre campanaria della cattedrale, perfettamente orientata, è da ritenersi che essa risalga ai primi secoli del cristianesimo.

Sinibaldo Baroncini, archeologo teatino del seicento, narra di una grande pietra squadrata rinvenuta ai suoi tempi presso la facciata e con una iscrizione monca, GENIO MUNICIPII, che ci fa supporre esistesse in epoca romana un edificio sacro o civile nell'area della chiesa. E' certo, comunque, a quanto dice P. Isidoro Sebastiani, che la chiesetta di San Lorenzo passò ai frati minori vivente ancora San Francesco; ben presto ivi sorse annesso un convento destinato a divenire preminente su tutte le chiese francescane della custodia teatina.

Il maggiore storico chietino, Girolamo Nicolino, nella " Historia della città di Chieti ", dà per certo il 1239 quale anno di fondazione della chiesa, ricavandola da una tabella di Messe celebrate dai PP. Conventuali di Chieti; egli ricorda, inoltre, un tale Antonio Gizio, nobile teatino che, dopo aver donato una parte dei suoi beni ai poveri, ne impiegò il resto per l'edificazione della chiesa, nella quale visse e morì santamente secondo la regola serafica.

Grazie al lascito del Gizio, la chiesa assunse allora le vaste dimensioni attuali che la posero in primo piano fra gli edifici sacri cittadini, secondo solo alla cattedrale. Ancor più crebbe d'importanza quando, nei primi decenni del 1300, ricevette un'ampia facciata in laterizio di cui rimane la parte superiore, a coronamento quadrato, con un ricco rosone in pietra, anch'esso scampato ai restauri seicenteschi; è andato perduto, invece, il gran portico esistente fino a tutto il 1500.

Queste prime e fondamentali strutture architettoniche furono realizzate con ogni probabilità nel tempo in cui vissero tanti famosi frati chietini; primi fra tutti i PP. Giacomo, Giovanni e Matteo ricordati con gratitudine da Padre Cantèra che restaurò il refettorio nel 1620. Nel XIV secolo, dunque, la chiesa raggiunse le ragguardevoli dimensioni che tutt'oggi rispetta: una grande aula molto allungata e voltata a capriata, con abside rettangolare voltata a crociera, giusta la tipica pianta delle chiese monastiche abruzzesi degli ordini mendicanti.

Di eccezionale c'era già la presenza di ben dieci cappelle, cinque per lato; la parte esterna, intanto, tutta in laterizio, riceveva un cornicione ad archetti pensili giunto in massima parte fino ai giorni nostri. L'ampia facciata, infatti, quadrangolare come la maggior parte delle costruzioni sacre coeve in Abruzzo, presenta tuttora uncoronamento ad archetto che si sviluppa anche lungo tutto il fianco destro.

La loro delicata fattura lo avvicina ai coronamenti dei piani più antichi del campanile di San Giustino portati a termine nel 1335 da tale Bartolomeo di Giacomo. All'incirca in quegli anni veniva innalzata in Chieti la chiesa di Sant'Agostino con una decorazione simile. Della stessa epoca è il ricco e originale rosone con i raggi tutti diversi fra loro e tanto vicini per gusto e invenzione agli intagli che ornano le bifore del campanile della cattedrale.

Già verso la fine del XVI secolo, però, tanto il convento quanto la chiesa versavano in condizioni precarie, e infatti i frati fecero ricorso alla municipalità per richiesta di fondi necessari ai lavori di ristrutturazione. L'aiuto non si fece attendere e il Parlamento teatino, nella seduta del 19 febbraio 1576, elargì la somma di 200 ducati per la chiesa di San Francesco.

I lavori si protrassero per lustri, tanto che il refettorio fu completato dal P. Vincenzo Campèra nel 1620, come abbiamo accennato sopra, e il convento fu restaurato in tutte le sue parti nel 1671 ad opera di P. Francesco Tomei da Chieti. Profondo studioso di teologia, infaticabile predicatore, il Tomei fu anche zelante amministratore, ricoprendo la carica di ministro provinciale dal 1657 al 1661, governando con prudenza e saggezza, né disprezzando la poesia. Lo ricordano, infatti, con stima i più illustri letterati cittadini: Giuseppe Toppi, in un sonetto della raccolta " De' furti virtuosi al tempo " pubblicato nel 1683, lo definisce " amplificatore commendabile del convento di Chieti "; Federico Valignani, poi, il celebre fondatore della colonia arcadica teatina, gli dedica il sonetto XIV delle sue " Centurie ".

Insieme al convento è lecito credere si lavorasse anche alla chiesa, la quale fino al 1650 era ancora coperta a capriate, ma con le cappelle quasi tutte decorate, come risulta da una relazione richiesta dal Vaticano sullo stato delle case francescane e carmelitane.

A quel tempo, perciò, San Francesco aveva ormai perso quasi completamente i caratteri del vetusto tempio gotico e si avviava ad essere quel grandioso monumento barocco che oggi ammiriamo. Qualche tempo dopo la conclusione dei lavori per il convento, e precisamente nel 1689, fu portato a termine il rafforzamento della parte absidale con poderose strutture murarie indispensabili a sostenere l'erigenda cupola.

Fino al 1703, tuttavia, questa non era ancora elevata, come ben si rileva dalla famosa pianta prospettica della città disegnata da G. B. Pacicelli appunto in quell'anno. Non troppo lontano dl 1703 dovette essere realizzato il rivestimento in pietra dell'ordine inferiore della facciata, tanto simile per disegno e stile a quello della demolita San Domenico rifatta barocca in quegli anni e probabilmente dalle stesse maestranze.

Completate le strutture architettoniche, si provvide alla decorazione interna e si arricchì il tempio di nuove pitture e pregevoli opere scultoree, quali la tela della Madonna degli Angeli e le statue lignee di Sant'Antonio e di San Lorenzo . Dopo aver provveduto, infine, alla decorazione plastica di tutto il presbiterio per mano di stuccatori lombardi e all'innalzamento del maestoso altare marmoreo, i frate commisero all'intagliatore Felice D'Attilio un nuovo coro ligneo e un pulpito.

Nel 1767 i PP. Annecchini e Onofri del convento teatino stipularono un contratto di massima con il D'Attilio il quale si mise all'opera, dovendo riconsegnare il tutto entro lo stesso anno. Mentre i lavori procedevano alacremente, il D'Attilio, pressato da necessità domestiche, ma soprattutto infastidito dalle continue richieste di cambiamenti e arricchimenti da parte dei frati, chiese di essere parzialmente saldato. Promesse di compensi fioccarono, ma non seguì mai nulla di concreto. Stanco di aspettare e irritato, l'intagliatore interruppe l'opera e ricorse alla legge. Com'era da aspettarsi ottenne giustizia: il convento, infatti, fu condannato a versare una somma superiore alla pattuita e più equa per il lavoro realizzato, mentre il D'Attilio si obbligò a finire il coro rispettando il disegno primitivo e a riconsegnare l'opera entro il 1770. Non si parlò più del pulpito.

Il 6 febbraio del 1771, finalmente, la chiesa ebbe il suo coro, ma era scritto che, nato male, esso dovesse finir peggio. Nel maggio del 1932, infatti, un furioso incendio devastò tutto il presbiterio, distruggendo il coro, un prezioso organo settecentesco e numerose suppellettili sacre.

San Francesco, comunque, aveva da tempo perso molto del suo splendore a causa della soppressione degli ordini religiosi decretata una prima volta nel 1806 e nuovamente nel 1866, quando, privata del convento, passato al demanio, fu officiata dapprima da un solo religioso conventuale e infine passò alle cure della Congregazione dell'Immacolata Concezione. Finché, verso la fine del 1800, ebbe un parziale restauro a spese della nobildonna Teresa de Horatiis e soltanto nel 1903 poté riaccogliere un manipolo di francescani conventuali i quali furono costretti ad adattarsi in stanzette anguste e per niente idonee alla vita monastica.




VISITA ALLA CHIESA

Facciata Esterna


Al sommo di una scenografica scalinata a doppia rampa, disegnato da Tommaso Scaraviglia alla fine del 1800, in seguito allo sbassamento del piano stradale del corso Marrucino, si erge una larga facciata rivestita in forme barocche nell'ordine inferiore e in laterizio in quello superiore.

Due nicchioni con statue provenienti dalla demolita San Domenico affiancano un elegante portale in pietra con ante riccamente intagliate.

Il rosone del XIV secolo è un originale esempio di arte tardo-gotica.

L'Interno


La prima cappella, partendo da sinistra, lascia intravedere sotto l'esuberante decorazione plastica l'originaria struttura gotica. Ai lati dell'altare Sant'Ambrogio e San Carlo Borromeo , santi patroni della nazione lombarda, di cui una fiorente colonia visse e prosperò in Chieti fino al XVIII secolo. I teleri delle pareti con storia della vita dei santi ricordati rimontano alla seconda metà del seicento e rivelano una ingenua vena narrativa. Sull'altare il busto ligneo di Sant'Antonio da Padova, firmato e datato " G. Colombo 1711 ", ennesima conferma delle magistrali capacità artistiche di questo scultore napoletano dalla vena spigliata e aggraziata a un tempo. La fastosa stuccatura ricorda la scuola lombarda attiva in Abruzzo per ben due secoli.
La cappella successiva, dedicata a Santa Caterina da Bologna, è decorata con preziosi stucchi eseguiti dall'architetto scultore G. B. Gianni verso la fine della sua parabola artistica, influenzata dal gusto rococò. Sull'altare e alle pareti tele del bolognese Ercole Graziani, dipinte nel 1714 su committenza della famiglia Gozzi di origine emiliana, ma stabilitasi a Chieti intorno al seicento per esercitarvi attività bancarie.
La seguente, con scadenti stucchi della bottega del Clerici, è degna di interesse per il gran quadro dell'Immacolata Concezione dallo stile inconfondibile di Donato Teodoro.
Nella successiva cappella, un tempo consacrata a Sant'Antonio, si ammira una bella statua lignea di San Lorenzo la cui forte doratura moderna non riesce a spegnere l'eleganza delle forme e la delicatezza dei tratti, caratteristiche proprie di Giacomo Colombo, autore operoso in Abruzzo nel primo decennio del 1700. Alle pareti due tele con episodi della vita del santo da Padova eseguite nella prima metà del seicento nella bottega di G. B. Spinelli, maestro della scuola napoletana.
L'ultima cappella di questo lato, oggi di patronato della famiglia Obletter, apparteneva in antico alla potente colonia veneta di Chieti. Decorata con stucchi di gusto tardo-manieristico, vanta il più bel quadro della chiesa e indubbiamente il più importante esempio di pittura barocca della nostra città. La tela raffigura laVergine e il Bambino coronata da angeli . Ai piedi del trono sono raccolti in meditazione San Giovannino, San Luca intento a ritrarre la Madonna, Sant'Alessandro e San Marco .
Fortissimi echi di altre opere acclarate dello Spinelli e la presenza di Sant'Alessandro patrono di Bergamo confermano la tradizionale attribuzione spinelliana. E' noto, infatti, che il pittore, giunto con la famiglia da Bergamo alla fine del '500, visse a lungo a Chieti dove ha lasciato altri importanti testimonianze della sua arte.
Il transetto, ampio e luminoso, nobilitato dalla grande cupola, è impreziosito da scenografici altari e stucchi di fine fattura per stile vicini a quelli che G. G. Rizza, architetto e scultore comasco formatosi alla bottega del Gianni, ha realizzato in altre chiese cittadine. Sugli altari, statue lignee dorate raffiguranti San Francesco e Sant'Antonio , opere del tardo cinquecento napoletano. Notevoli per drammaticità espressiva i pannelli in stucco ad altorilievo con episodi della vita dei due santi.
Infine l'altare maggiore lastronato di marmi pregiati, imponente nelle sue forme architettoniche, capolavoro di lapidici napoletani.
Continuando la visita, s'incontra la cappella di San Ludovico da Tolosa , con delicati stucchi del Clerici e una modesta tela di Donato Teodoro. Quindi viene la cappella di San Giuseppe , appartenuta un tempo all'antica famiglia chietina del Nicolino. Un'antica tradizione sostiene che vi sia sepolto lo storico Girolamo.
Le tele delle pareti laterali raffiguranti la Natività Adorazione dei Pastori , rimontano alla prima metà del XVII secolo, epoca in cui fu realizzata la sontuosa decorazione plastica.
Segue la cappella della Madonna degli Angeli , dotata di privilegi da Papa Gregorio XIII Boncompagni e successivamente confermati da Benedetto XIV nel 1751. Intorno a questi anni fu dipinta la tela dell'altare con la Vergine, il Bambino e i Santi Giovanni Battista ed Evangelista . La delicata omogeneità cromatica, la correttezza del disegno e la morbidezza dei toni ricordano la maniera di Paolo de Matteis o, più probabilmente, di Nicola Maria Rossi, artista a lui vicino.
Superata la cappella del Suffragio , snaturata dai "restauri" operati negli anni cinquanta del nostro secolo, si giunge a quella di San Michele Arcangelo della famiglia de Laurentiis; la pala sull'altare è una fiacca interpretazione del celebrato quadro del Reni. Oltre a queste ricordate, altre opere d'arte meritevoli di attenzione vanta quest'antica chiesa francescana: un breve accenno, per esempio, è doveroso per gli eleganti torcieri posti ai lati dell'altare maggiore e per l'architettonico armadio cinquecentesco conservato in sagrestia.
Una nota particolare richiede, invece, la famosa Madonna ligneadel 1400 che il recente restauro ha riportato ad una lettura chiarissima, sottolineandone i rigidi caratteri ieratici e il fresco tono popolaresco propri di certa statuaria abruzzese quattrocentesca.
Per ultimo ricordiamo l'imponente pulpito realizzato da Modesto Salvini da Orsogna verso la fine del 1700. La macchina dalle forme bombate e gonfie, sebbene leggiadra come un turibolo, dovettero soddisfare straordinariamente i committenti e il gusto de tempo, tanto che venne ripetuta, con lievi modifiche, in molte chiese della terra teatina (vedi i Crociferi a Chieti, San Francesco a Bucchianico, la parrocchiale di Pennapiedimonte).

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